Si calcola che circa l’8% della popolazione abbia un quoziente intellettivo superiore ai 120. Ciò significa che una scuola primaria, con classi in media di venticinque bambini, ha con molta probabilità almeno un bambino ad alto potenziale cognitivo in ogni classe dalla prima alla quinta. E tali bambini, nonostante le straordinarie capacità cognitive innate, sono anche tra i più a rischio di dispersione scolastica.
Definire i soggetti ad alto potenziale cognitivo non è facile. Una definizione univoca non esiste ancora. In genere si definisce Alto potenziale un quoziente intellettivo pari o superiore a 120, mentre la plusdotazione cognitiva con un quoziente intellettivo pari o superiore a 130.
Limitarsi al solo aspetto intellettuale per definire questi soggetti, per quanto strumentale, è immediatamente limitante quando si guarda alla complessità delle loro caratteristiche emotive, immaginative (in tali soggetti il pensiero astratto, che Piaget colloca tra i 12 e i 15 anni, si sviluppa già dai sei anni), psicomotorie e sensoriali; Dabrowski parla dell’iperdotazione come un’esperienza globale piuttosto che una semplice esperienza intellettuale. Ma anche limitandoci a guardare solo il QI, in considerazione del livello massimo di 200 (ci sono esempi di QI più alto di 200), ci si rende presto conto di quanto diversificato sia questo gruppo al suo interno.
Identificare un bambino ad alto potenziale cognitivo non è semplice: in genere tali soggetti mostrano una grande memoria e curiosità, tendono a non fermarsi agli aspetti superficiali del sapere ma tendono ad approfondire, hanno una vivida immaginazione, comprendono concetti astratti già dalla scuola primaria. Hanno un pensiero divergente; mostrano capacità motorie avanzate, hanno esperienze sensoriali ed emotive molto intense. In molti casi i genitori notano tali abilità e sensibilità. Ma raramente (a meno di una pregressa identificazione familiare) in assenza di una situazione problematica ciò conduce a un’identificazione definitiva.
I docenti solitamente notano gli stessi tratti individuati dai genitori; ma la preparazione professionale, il maggiore distacco emotivo e l’esperienza li pongono in una posizione privilegiata per iniziare il processo d’identificazione di questi soggetti. Purtroppo, anche nel contesto scolastico, troppo spesso è solo in presenza di problemi comportamentali o dell’apprendimento (dopo un lungo periodo più o meno manifesto di sofferenza del bambino) che inizia a farsi largo la possibilità di potenzialità e bisogni diversi. A meno di una situazione problematica, raramente prende atto un’identificazione, che invece sarebbe molto utile per uno sviluppo completo anche nei bambini che non mostrano problemi immediati.
La scarsa conoscenza della plusdotazione e la sua complessità, non giocano a favore di questi bambini in quanto, il mancato riconoscimento della plusdotazione può essere un fattore di rischio per lo sviluppo emotivo e sociale di questi bambini. Spesso inoltre, i docenti tendono a individuare velocemente quelle caratteristiche che la plusdotazione condivide con ADHD o con l’Autismo, indirizzando i genitori verso percorsi che mettono ulteriormente a rischio lo sviluppo del bambino.
La sfida che la plusdotazione pone al sistema scolastico non è diversa dalla sfida che oggi pongono tutti gli altri bambini: essere individuati per tempo come soggetti diversi le cui potenzialità e unicità richiedono interventi specifici. Ognuno ha diritto di essere se stesso e non la fotocopia di uno stereotipo già prestabilito.
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