Ecco le dieci azioni che Wired propone come memo per la ministra Giannini e il suo staff. Alcune idee, specifica il sito, vengono dall’analisi del gruppo di lavoro Ocse-Pisa svolta in occasione della pubblicazione a inizio dicembre 2013 degli ultimi risultati.
In ogni caso Wired premette: astenersi conservatori e nostalgici, perché la scuola deve cambiare, per stare al passo con il mondo. E anche su questo punto siamo d’accordo e non solo. Ma vediamo il decalogo
1. Aumentare la scolarizzazione, lottando la dispersione:
perché? In Italia quasi un giovane su quattro, tra i 18 e i 24 anni, ha solo un titolo di scuola media inferiore. Ma c’è di più: solo il 17% degli adulti tra i 35 e i 44 anni nel nostro paese è laureato, contro la media Ocse del 34%. E gli adulti italiani risultano i peggiori nei test di lettura e di matematica dell’Ocse. I nostri 15enni, dunque, hanno in media famiglie molto meno istruite di quelle degli altri paesi. Lottare contro l’abbandono scolastico è dunque la prima e più urgente misura da intraprendere, considerando pure che gli studenti italiani sono tra quelli che bigiano di più le ore di scuola. Ma anche il dato di soddisfazione lascia a bocca aperta: solo uno su 3 degli studenti italiani dichiara di trovare a scuola un ambiente ideale. La media Ocse è del 61%, cioé di 2 studenti su 3.
2. Formare i formatori:
L’Italia è in grave ritardo nella cultura scientifica e tecnologica così come nella literacy, la capacità di leggere. L’idea della Giannini, sarebbe quella di differenziare “le retribuzioni degli insegnanti in base al merito e alle condizioni del mercato del lavoro rilevante per ciascuna specifica disciplina, al fine di attrarre alla carriera docente i migliori laureati nelle materie scientifiche”.
Essere i migliori laureati, in qualsiasi ambito, non significa affatto avere poi la competenza didattica, la passione pedagogica, la capacità di ascolto, la pazienza (molta pazienza) e gli strumenti adeguati per rispondere alle richieste formative degli studenti. Investire in formazione continua dei docenti, questo sì farebbe la differenza. Non con l’ennesimo corso di aggiornamento ma dando incentivi anche economici agli insegnanti che continuano a formarsi negli anni e spendono questa competenza in classe. Un sistema di premio e incentivo oggi presente solo in misura molto limitata.
3. Valutare i docenti (e poi pagarli meglio)
Qualsiasi progetto, attività di ricerca o investimento culturale deve essere valutato non tanto per stilare delle classifiche ma per capire cosa ha funzionato e cosa necessiti di miglioramenti. La scuola, che si regge su un sistema di valutazione continua degli studenti, non può fare eccezione. Solo attraverso una valutazione continua dei docenti, vincolata all’attività didattica svolta quotidianamente nelle scuole e non ridotta alla somministrazione di super test una volta ogni dieci anni, possiamo individuare i punti critici. E’ necessario valutare gli esiti, la continuità di impegno, e anche il rapporto degli insegnanti con le classi e gli studenti.
Le esperienze di valutazione da parte degli studenti sui programmi e le proposte didattiche della scuola non sono una novità: dal 2003 al 2013 è raddoppiato il numero di studenti partecipanti ai test Pisa che hanno dato feedback sulla propria scuola in risposta alle richieste dei dirigenti. Ma ancora è quasi del tutto assente la valutazione diretta dei docenti da parte degli studenti: nel 2012 solo il 30% degli studenti italiani esprime un giudizio diretto sui propri insegnanti contro il 50% della media Ocse. Il nostro è il dato più basso dopo il Giappone. La valutazione complessiva del lavoro svolto dovrebbe poi tradursi anche in un miglioramento dei salari dei docenti: oggi gli insegnanti italiani sono tra quelli che guadagnano meno in confronto ad altri paesi Ocse e G20.
4. Aumentare gli investimenti. Con attenzione
L’Italia è uno dei pochi paesi che ha addirittura diminuito gli investimenti in scuola: la spesa cumulativa per studente nel corso della carriera scolastica obbligatoria (6-15 anni) è stata tagliata dell’8% tra il 2001 e il 2010. Oltre a noi solo Islanda e Messico hanno speso meno. Ma attenzione: la spesa per studente non è un fattore che incide direttamente sui risultati. Ad esempio, Italia e Singapore hanno una spesa equivalente (circa 62mila euro per studente) ma Singapore è ai vertici della classifica della competenza matematica, ben lontano da noi. Al contrario, Italia e Norvegia hanno risultati comparabili ma la Norvegia investe più di 90mila euro per studente. Il Messico poi è il paese in cui più sono migliorate le performance pur con una spesa ridotta. Il punto è che dipende da dove vengono investiti questi soldi: ambiente educativo, strumenti, strutture, costi fissi…
5. Introdurre l’educazione digitale a scuola:
ci sarebbe, secondo Wired, un duplice malinteso: promuovere un’idea di scuola 2.0, con una forte spinta alla digitalizzazione, non significa eliminare i libri. Ma, soprattutto, non significa semplicemente adottare una tecnologia. Educare al digitale presuppone un lavoro da fare prima di tutto con gli insegnanti e poi con gli studenti, nelle classi, per un uso consapevole della rete, per una gestione adeguata dell’identità digitale di ciascuno. Una cultura profonda del digitale non significa saper usare velocemente i vari strumenti, come i nativi digitali fanno quotidianamente. Significa avere chiare le opportunità ma anche i rischi, in termini di privacy, gestione delle informazioni, “dinamiche sociali, economiche e individuali che si generano a partire dall’uso di tanti strumenti”. Oggi assistiamo spesso a un uso ancora molto ingenuo, poco adeguato e senz’altro, in qualche caso, perfino dannoso degli strumenti di rete anche da parte delle stesse scuole, oltre che dei singoli studenti e insegnanti.
6. Rendere più responsabili (e autonomi) i dirigenti
Nonostante la tanto decantata autonomia scolastica, sono pochissime le scuole italiane che possono e riescono di fatto a gestire risorse economiche. Nei paesi Ocse, sette studenti su dieci frequentano scuole in cui solo autorità regionali e/o nazionali stabiliscono come gestire le risorse e come pagare i docenti. In Italia, questo numero sale: il 93% degli studenti frequenta scuole pubbliche sottoposte a questo sistema di gestione. Ma la vera differenza sta nel grado di autonomia dei dirigenti: nei paesi Ocse il 25% degli studenti, uno su quattro, frequenta una scuola in cui il dirigente ha autonomia molto limitata nel selezionare e assumere i docenti e nel gestire il budget scolastico. In Italia, questo dato è molto diverso: nel 90% dei casi le scuole sono organizzate così. Di fatto, dunque, solo un dirigente su dieci ha un buon grado di autonomia e non può quindi, per esempio, offrire incentivi a un docente per rimanere nelle scuole che si trovano in zone svantaggiate sotto il profilo socio-economico. Il dato è ancora più esplicito quando pensiamo al licenziamento di un docente: quattro studenti su cinque in Italia frequentano scuole in cui è praticamente impossibile licenziare un docente, anche quando non svolge correttamente il proprio lavoro. Nei paesi Ocse questo è vero solo per due studenti su cinque.
7. Ridistribuire le risorse, rafforzando le scuole nelle zone più disagiate
Contrariamente a quanto pensano molti dei difensori della scuola all’italiana, le nostre scuole non sono affatto eque e non danno le stesse opportunità formative agli studenti. Come ben sanno le famiglie degli studenti, d’altro canto. Sono i paesi con le migliori performance scolastiche, come la Finlandia o la Germania, che tendono a distribuire in modo più equo le risorse educative tra le scuole. In Italia, oggi, le scuole con una popolazione scolastica più svantaggiata sono anche, in media, quelle con minori risorse per lavorare. Non tanto perché manchino gli insegnanti ma perché spesso i migliori insegnanti scelgono scuole meno problematiche, non avendo alcun incentivo a lavorare in contesti più difficili. Il risultato è che la variazione tra scuole, e tra regioni, in Italia è molto più marcata che negli altri paesi.
8. Migliorare gli edifici scolastici e renderli luoghi più sicuri
Dai documenti disponibili risulta che a fine 2012 erano meno di 3000 (su oltre 42mila) le scuole italiane verificate. Di tutte le altre non ci è stato dato sapere nulla. Per questo la ministra Giannini deve attivarsi subito a dare le risposte chieste di associazioni come Cittadinanzattiva e Legambiente nonché dei tanti comitati sparsi in giro per l’Italia, per rendere pubblici, aperti e riutilizzabili, tutti i dati, scuola per scuola, relativi allo stato degli edifici, la vulnerabilità sismica e quella strutturale e non strutturale.
9. Devolvere l’8 per mille alle scuole
Una proposta da tempo sostenuta anche da varie associazioni della società civile. Secondo quanto citato da Carrozza, il decreto Istruzione prevedeva un mutuo dello Stato di oltre 800 milioni presso la Banca di sviluppo europeo per permettere una operazione massiccia di ristrutturazione delle scuole italiane nel prossimo triennio. Quante e quali naturalmente resta da definire. Le dichiarazioni in favore di interventi sull’edilizia scolastica del premier Renzi sono state molto esplicite. Rimane ora da vedere se si tradurranno in pratica con progetti e cantieri.
10. La sfida: una scuola post-industriale e non standardizzata
secondo Ken Robinson, uno dei pedagogisti più famosi al mondo, il nodo centrale è che una scuola organizzata ancora in classi di età e vere e proprie ‘partite di studenti’ come se fossero merci prodotte in una azienda, non conduce alla valorizzazione della creatività dei singoli e non consente l’espressione di capacità, competenze e attitudini che potrebbero arricchire la collettività, anche dentro la scuola. Un principio che in parte è già attuato nelle cosiddette classi eterogenee delle scuole materne. Ma che è in forte contraddizione con l’idea di un raggiungimento di obiettivi standard e una valutazione della conoscenza su modelli e test uguali per tutti.
Ecco un esempio. Un insegnante messicano, Juarez Correa, utilizzando un metodo rivoluzionario nell’insegnamento della matematica, ha ottenuto risultati davvero sorprendenti con una classe di ragazzini in un quartiere molto povero di Matamoros, una cittadina vicino al confine con gli Stati Uniti.
Una sfida, quella del combinare la valorizzazione delle creatività e competenze individuali con la possibilità di una valutazione efficace e soddisfacente che rappresenta il vero nodo da risolvere nella scuola di oggi. Al di là degli strumenti, dei muri, dei libri e delle retribuzioni dei docenti.
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