I lettori ci scrivono

Solo gli animali da circo si addestrano

Non per fare polemica, ma leggere che noi docenti dobbiamo essere riaddestrati, mi sembra alquanto grave ed offensivo: per il termine adoperato, e perché gli animali solitamente si addestrano.

Mi riferisco nello specifico a quanto ho letto appena poco fa su La Tecnica della Scuola: “Bianchi annuncia corsi di formazione digitale obbligatori per tutti i docenti: 4 anni per riaddestrarli, stanziati 800 milioni”: “In Italia, in 4-5 anni, dobbiamo riaddestrare 650mila insegnanti per andare incontro ad un insegnamento adeguato al futuro digitale e […] (Ministro Bianchi).

E questo la dice tutta sulla considerazione che la Politica ha della Scuola, dei suoi operatori, grazie alla quale ancora una parvenza di senso (di Scuola…) continua a sopravvivere.

Serve dell’altro ancora? O la nostra dignità professionale ed umana è giunta al margine massimo di sopportazione?

Ho paura che nemmeno la considerazione dell’essere riaddestrati smuoverà almeno la collina.

Siamo Italiani, e anche questo la dice lunga. E non perché siamo stanchi, frustrati, delusi, ecc …, bensì perché lasciamo come sempre ad altri delegare e delegare e delegare: tanto a noi va bene comunque (diversamente non ci ritroveremmo al punto in cui Società Civile e Scuola si trovano adesso).

Riaddestrati!? Del resto, forse, ha ragione il nostro Bianchi, siamo da tempo dei soldatini pronti ad eseguire ogni ordine che viene dall’Alto, e non importa poi se questo Alto oltremodo avesse idea di quel che comanda. Siamo soldatini della Burocrazia, e non per senso del dovere, semplicemente perché, dovessimo mai ribellarci per attenzionare chi di dovere all’aver confuso ruoli figure posizioni e motivi, si rischia di finire come la collega di Palermo, la cui sola “colpa” è stata quella di credere che ancora quel senso di “libertà” che un luogo come la Scuola dovrebbe sempre custodire ed esprimere, ha liberamente espresso una sua idea aprendo ad una discussione con i suoi studenti: la Scuola non è più il luogo della democrazia del Pensiero. Destituita dal Suo ruolo di docente, e con lo stipendio non più corrispostogli: espressione di ciò è il D.L. 36, malgrado ogni azione di contrasto, che resta il D.L. 36, e come la 107 Renziana, passa tranquillamente, con tutto il danno che ne consegue (e ne è conseguito, prima, e per cui Renzi e tutto il suo PD se ne è andato a casa, e non ha insegnato nulla….).

Avrei voluto invitarvi a collegarvi su YouTube per seguire un interessante intervento in merito ad un intervento in sede di una diretta sulla Scuola, nel quale con chiarezza si è fatto presente che il D.L. 36 non rappresenta la soluzione ma semmai è assolutamente lontano dal risolvere i problemi, anzi ne genera degli altri, e quindi è inutile e gravoso.

La risposta del Parlamento, meglio del Governo, è stato un assoluto mutismo che dice della consapevolezza che si naviga su mari altri, su percorsi altri, e soprattutto afferma che noi non siamo più in Democrazia. Ma, purtroppo, non sono riuscito stamattina a ripescare navigando su internet il sito dell’intervento. Chissà come mai!?

Quante altre offese dobbiamo accettare inermi e irresponsabilmente, cioè nella nostra costante apatia a quanto ci sta piovendo sopra, da anni oramai? Non riusciamo a capire che le certezze o sicurezze sulle quali si è costruito il nostro fortino, sta silente creando margini di debolezza, e che prima o poi tutti saremo chiamati all’appello, e spero non sia troppo tardi. Nulla è più certo della inquieta incertezza del nostro tempo di oggi.

Al lamento che dice comunque di una consapevolezza del macero, necessita una azione di ricostruzione democratica: guardate che se 10.000 cattedre saranno poste fuori gioco, e non importa se di potenziamento, unitamente all’obbligo di riaddestrarci, con l’aggiunta di una indifferenza dinanzi alla difficoltà di una didattica all’interno delle oramai denominate classi pollaio, significa che toccherà a noi, anche a noi, ognuno di noi, e magari saremo fuori gioco, come perdenti posto, o magari collocati in uffici, lontani dal luogo del nostro significarci, lontani da ciò che ci riconosce e nel quale ci riconosciamo, come persone e come ruolo sociale civile pubblico, oltre alla maschera. E poi che faremo: piangeremo, ci batteremo il petto, come se ciò bastasse a sanare il peccato della nostra “assenza”?

Mario Santoro

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