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“Solo la vita da influencer vale la pena di essere vissuta”, bambini affamati di lusso che vedono sui social: l’allarme dei genitori

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La social media strategist, docente e giornalista Serena Mazzini ha dato voce oggi, su Instagram, ad alcuni genitori praticamente disperati per la “piega” che hanno preso i loro figli, spesso molto piccoli, intontiti dalla “bella vita” condotta da alcuni influencer in evidenza sui social.

Gli sfoghi

Ecco i messaggi in questione:

“Oggi i miei figli (8 e 5 anni) mai esposti sui social e che guardano raramente video di YouTube sempre con un adulto mi hanno detto che volevano che io li riprendessi mentre giocavano per fare un canale, così diventiamo ricchi (tutta la famiglia) e loro possono avere tutti quei giochi… Io ci sono rimasta abbastanza male”.

“I miei figli, 16 e 13, sono gli UNICI nelle loro rispettive classi ad avere un controllo genitoriale del tempo che passano sul cellulare. Eppure, per quanto ci sforziamo, è una lotta impari, non fanno altro che parlare di denaro, da guadagnare o da spendere, oggetti da comprare, video da creare… io mi sento spesso sopraffatta, ma cerco di non mollare.
Quando usciamo a cena tutti insieme ho sempre un piatto di giochi da tavola da proporre mentre aspettiamo le comande, nel continuo tentativo di non fargli afferrare il cellulare”.

“Faccio da babysitter a diversi bambini e ragazzini e vedo in tanti di loro ‘fame di soldi’, che già non è sanissimo, ma poi a 8/9 anni mi dicono che il loro sogno è quello di diventare ricchi. Sta cosa mi spaventa tanto perché a quell’età io sognavo di fare la maestra o la veterinaria, non sognavo di diventare ricca semplicemente perché i soldi erano una dimensione avulsa dai miei sogni. Questa generazione viene continuamente bombardata di contenuti social che urlano lusso, potere, macchine, donne, viaggi e ora di gente che, senza un controllo sui contenuti, ti suggeriscono queste truffe legalizzate per fare soldi. Spaventoso davvero”.

“Anche io come le mamme che ti scrivono sono abbastanza accorta a quello che vedono eppure quest’anno ho riscontrato un sacco dei problemi con i social e con dei discorsi che mio figlio di solo 6 anni ha iniziato a fare: ‘tipo voglio fare l’influencer’, oppure che i soldi sono importanti ecc ecc”.

“Non avendo ‘un villaggio’ che mi aiuta nella gestione dei miei bambini a volte per tirare il fiato permetto loro di guardare qualche video su YouTube. Sfortunatamente si sono imbattuti nei canali delle fantomatiche famiglie dalla vita agitatissima e dai mille giocattoli. Io e mio marito ci danniamo l’anima per fare capire loro che la vita non è così, che i giocattoli e i soldi non piovono dal cielo. Lavoriamo entrambi come impiegati e per quanto non possiamo lamentarci perché davvero non ci manca niente, i nostri figli non sono mai soddisfatti di quello che hanno, abbagliati dalle vite che spesso vedono propinate sui social. I blocchi vari ed eventuali non servono a niente. Abbiamo tolto tutto”.

“Sono molto preoccupata perché negli ultimi mesi mio figlio di 7 anni ha cominciato a parlare di soldi: quando parliamo di un personaggio famoso in qualche ambito, sport, scienza o altro, la prima domanda che fa è se è ricco e ci ha sorpreso perché noi in casa non diamo importanza a questo argomento. Ha un uso del telefono abbastanza limitato e quindi ci siamo chiesti da dove vengano questi pensieri. Adesso leggere queste testimonianze mi spaventa perché è una situazione diffusa e quindi qualcosa ci sta sfuggendo e dobbiamo capire di cosa si tratta”.

“Le mie nipoti uguale: ora hanno 14 e 17 anni rispettivamente, ma da quando erano piccole mi ricordo frasi come ‘solo la vita di Chiara Ferragni è degna di essere vissuta’ o il ‘da grande sarò ricca’, senza nessuna specifica particolare”.

Uso dei social nei più piccoli, gli studi

Mazzini parla di problema generazionale, e mette l’accento sul problema delle influencer giovanissime che spopolano e che ovviamente si rivolgono alle loro coetanee, molte delle quali trascorrono ore davanti agli schermi dei vari device.

Ricordiamo che dopo l’annuncio di qualche settimana fa, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara con una argomentata circolare, supportata da importanti studi e ricerche internazionali, ha disposto il divieto di utilizzo in classe del telefono cellulare, anche a fini educativi e didattici, per gli alunni dalla scuola d’infanzia fino alla secondaria di primo grado, salvo i casi in cui lo stesso sia previsto dal Piano educativo individualizzato o dal Piano didattico personalizzato“.

Secondo un’indagine della Tecnica della Scuola, a cui hanno partecipato 1.100 lettori, le categorie dei docenti, dirigenti e genitori si trovano in gran parte d’accordo sul divieto: in media, circa l‘80% di loro concorda con la misura adottata dal ministro Giuseppe Valditara.

Le motivazioni addotte sembrano di alto profilo scientifico. Molte ricerche internazionali, si legge nella circolare, hanno evidenziato una correlazione significativa tra l’uso del cellulare in classe, anche a scopo educativo, e il rendimento scolastico degli studenti.

Un’analisi approfondita – spiega ancora il Ministro – è stata presentata nel Rapporto Unesco “Global Education Monitoring Report 2023: Technology in Education: A Tool on Whose Terms?”, che sottolinea come i dati delle valutazioni internazionali, tra cui il Programma per la valutazione internazionale degli studenti (PISA), mostrino un legame negativo tra l’uso eccessivo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) e il rendimento degli studenti. In 14 Paesi, è stato riscontrato che la vicinanza ai dispositivi mobili distragge gli studenti, influenzando negativamente il loro apprendimento.

Nel Rapporto OCSE PISA 2022 (Volume II) “Learning During — and From Disruption”, emerge chiaramente che gli smartphone sono una fonte di distrazione, specialmente per gli studenti che li utilizzano frequentemente a scuola, con un impatto negativo sull’attenzione durante le lezioni di matematica.

Inoltre – prosegue la circolare –  è stato osservato che l’uso continuo e spesso illimitato dei telefoni cellulari sin dall’infanzia e nella preadolescenza compromette lo sviluppo cognitivo naturale, con conseguenze quali la perdita di concentrazione, diminuzione della memoria, della capacità dialettica, dello spirito critico e dell’adattabilità.
Senza dimenticare, aggiunge il Ministro, il preoccupante aumento – anche in Italia –  dei casi di sindrome dell’Hikikomori, un fenomeno di isolamento sociale volontario che spinge i giovani a rinchiudersi nelle loro case, rinunciando ai contatti con il mondo esterno. Per non parlare, poi, degli effetti di cui sopra: pare infatti che i più piccoli vedano continuamente lusso sfrenato sui social e siano “fissati” con i soldi per voler imitare ciò che vedono.