I risultati delle prove Invalsi 2021 ci raccontano di un Paese ferito dalla pandemia anche sul piano culturale. Un forte arretramento degli apprendimenti è infatti quanto viene rilevato dall’Istituto nazione di valutazione, argomento su cui anche il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi è intervenuto di recente, attribuendo, peraltro, successi e fallimenti ai modelli didattici dei vari gradi di scuola.
Un dato inequivocabile è che su questo argomento, sull’utilità e sull’adeguatezza del modello valutativo Invalsi, non c’è accordo nel mondo della scuola e tra le famiglie.
Basta dire che da anni, diverse associazioni ed alcuni sindacati di base, capitanati dai Cobas, organizzano uno sciopero del personale docente proprio in corrispondenza della somministrazione delle prove Invalsi, considerate delle modalità di valutazione semplificate non portatrici dell’effettivo grado di preparazione degli alunni. Una modalità, sostengono, figlia della standardizzazione delle competenze derivante da un modello pedagogico che non guarda ai bisogni dei giovani ma a quelli del mondo del lavoro.
Contro i test Invalsi si sono posizionati anche illustri studiosi. Come il pedagogista Daniele Novara, direttore del Cpp, Centro PsicoPedagogico, e docente presso l’Università Cattolica di Milano, per il quale “la stragrande maggioranza degli insegnanti italiani non ama i quiz a tempo”.
Secondo Novara, “la scuola delle crocette è fallita, tanto più durante la DaD. No modalità trasmissiva e nozionistica della scuola. La scuola è un laboratorio, è una comunità di apprendimento”, e merita un “modello di valutazione evolutivo, che testi i miglioramenti, non i fallimenti così come fa Invalsi”.
Di contro, l’Invalsi, attraverso le parole pronunciate solo qualche giorno fa dalla sua presidente Anna Maria Ajello, ha ribadito perchè i test hanno invece rilevanza.
Risulta “fondamentale – ha detto Ajello – avere misure di riferimento” per capire come procedono gli studi. Quello che l’Invalsi va a misurare, ha ribadito, sono “competenze fondamentali: comprensione del testo, fare elaborazioni quantitative, sapere l’inglese nei livelli prescritti dalle Indicazioni Nazionali e dalle Linee guida, tutti prerequisiti per l’accesso all’esercizio dei diritti di cittadinanza devono far anche riflettere sull’approccio didattico degli insegnanti”.
Sempre la presidente Invalsi, intervistata da Corrado Zunino su Repubblica, ha dichiarato: “Noi non rilasciamo punteggi ma descrizione di ciò che gli alunni sanno fare“
Per questi motivi, La Tecnica della Scuola ha deciso di coinvolgere i propri lettori, così da raccoglierne i pareri di chi opera nella scuola – ma anche dei genitori e degli stessi studenti – su un argomento che divide e rimane controverso.
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