Sono 260mila gli under 16 che in Italia ogni giorno sono al lavoro anziché a scuola. Lo dice l’Osservatorio nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza Paidoss.
La stima è giunta dopo che Datanalysis ha svolto per l’osservatorio dei minori un’indagine su un campione di 1.000 genitori: dai risultati, presentati il 23 settembre a Roma, è emerso che dei 260mila under 16 impegnati precocemente nel lavoro, ben 30 mila sono a rischio sfruttamento perché impiegati in lavori pericolosi o che possono compromettere il loro sviluppo.
Eppure più di un genitore su due (54%) ritiene che la crisi giustifichi almeno in parte il lavoro in età ancora di obbligo formativo: in particolare, il 26% delle mamme e papà, con punte del 33% al Sud, non vede nulla di male se il figlio lavora, il 20% ritiene che il giudizio debba dipendere dalla situazione del singolo.
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Tra gli intervistati esiste un 40% che ignora la presenza di piccoli sfruttati anche entro i nostri confini nazionali. Tra chi invece ne è a conoscenza pensa che il fenomeno riguardi solo gli stranieri (30%), quando invece dei 260 mila piccoli lavoratori solo 20 mila non sono italiani. Il 40% ritiene che il problema sia confinato nel Meridione. Il 17%, con punte di 22-24% al nord, conosce under 16 che lavorano. Un genitore su 5 rispetterebbe la scelta del proprio figlio se decidesse di lasciare la scuola per andare a lavorare “perché – dice – è la sua vita”.
“Di fatto il lavoro minorile non viene condannato senza se e senza ma come sarebbe giusto è un furto dell’infanzia, mette a rischio la salute e il benessere psicofisico e non aiuta a trovare lavoro in futuro”, ha commentato con una certa amarezza Giuseppe Mele, presidente di Paidoss.
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