Una delle domande che sempre più si pongono gli educatori è: sono compatibili il cellulare e la scuola? Dipende da come si utilizza, naturalmente.
Da un lato, come è noto, i cellulari devono tenuti spenti in classe, dall’altro, come per tutte le tecnologie, se sono funzionali alla attività didattica (ricerca al volo di una informazione o altro), sotto la guida del docente, possono diventare, diventano uno strumento positivo.
Trovano, quindi, una loro legittimazione solo se usati e considerati solo come mezzi, ma non come fini. Distinzione non facile, nemmeno per alcuni docenti.
Del resto, quale può essere il compito della scuola, e quale, invece, il rischio dell’utilizzo massiccio delle tecnologie nella nostra vita?
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Il cellulare, possiamo dire, è l’emblema, il simbolo della vita come immediatezza, come desiderio da soddisfare subito, di una vita intesa come eterna connessione, per cui il dramma, di converso, è vedere che nessuno ti chiama, si collega con te, nel senso che rischi di essere invisibile, cioè di non-essere. Noi “siamo” in quanto collegati-con, solo perchè riconosciuti. Cioè dipendiamo dagli altri.
E la scuola? E’ il suo opposto. E’, in sintesi, la palestra nella quale i ragazzi, di concerto con i loro docenti, esercitano l’intelligenza, come sapere, come relazione, come emozione, come vita. Quindi è il luogo non della immediatezza, ma della mediazione, la stessa che porta all’oltre-di-sé, all’oltre-da-sé.
Quando qualche genitore brontola perché a scuola capita che venga sequestrato il cellulare del proprio figlio, che lo sta, in forma indebita, usando in classe, dovrebbe ricordarsi il valore della scuola. La quale, su questo aspetto, assume una responsabilità (l’educazione intelligente delle tecnologie) che dovrebbe essere anzitutto dei genitori.
Gianni Zen
dirigente scolastico Liceo Brocchi di Bassano del Grappa
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