I lettori ci scrivono

Sono i vecchi a volere la guerra e tocca ai giovani combatterla?

Nella guerra in Medioriente, sembra di assistere alla duplicazione delle violenze infami già viste in Ucraina. Crudeltà impensabili, come quelle dei bambini bullizzati e decapitati, che alimentano l’odio fra i popoli, producendo in tutti angoscia e depressione. Insieme alla sommaria ricerca dei colpevoli. Un esempio ne è l’immagine che gira sulla rete in questi giorni. Un giovane soldato che piange con sotto lo slogan: “Sono i vecchi a volere la guerra e tocca ai giovani combatterla. Un’affermazione, questa, discutibile che, come in tutti gli slogan emozionali, contiene, però, una parte di verità. E forse anche più di una parte. È vero che nell’Oriente musulmano prevale talvolta l’archetipo politico del vecchio saggio (l’ayatollah). E che, anche in Occidente, le cariche supreme, come quella del presidente della repubblica, sembrano spesso appannaggio degli anziani: John Biden, Sergio Mattarella … Ma, almeno, per quanto riguarda il secondo personaggio, l’attenzione si focalizza subito sulla saggezza pacificante di un uomo profondamente democratico, anziché sulla follia ideologica di un despota. Smentendo, così, la portata generalizzante dello slogan in questione. Del resto, il potere decisionale, almeno in Occidente, è esercitato, non dai vecchi, ma da persone dell’età intermedia.

In ogni caso, lo slogan citato resta, a mio avviso, venefico e pericoloso. Esso genera odio ed incomprensione fra categorie universali, quali quelle di giovane e vecchio, che riguardano non una classe particolare e minoritaria, ma la metà dell’intero universo umano.

Considero, tuttavia, questo slogan ingiusto in quanto bene e male, verità e menzogna, amore e violenza sono realtà universali del cuore umano. Nella nostra esperienza quotidiana, incontriamo continuamente anziani saggi ed accoglienti ed anziani che portano nell’anima il fermento devastante di una ideologia settaria. Così come incontriamo giovani con gli occhi pieni di aspirazioni elevate e giovani fatui, degradati, materialisti, pronti alla violenza per i motivi più futili. Segnati da quel vuoto balordo che è la porta per ogni devastazione morale. Si pensi a quelle scritte assurde che leggiamo sui muri, gravide di stupido disprezzo verso altre città della stessa patria, motivate solo da una squadra di calcio ed un pallone di cuoio. Chi le scrive? Giovani incapaci di distinguere la mano destra dalla sinistra… Gioventù vuota che, quando si raduna, sempre in uno stadio, lo fa per saltare al ritmo di una musica assordante… Diciamo piuttosto, per usare delle metafore intelligenti, che il cuore dell’uomo è come la Terra, metà illuminata dal sole e metà in ombra. Oppure, che il nostro animo è un terreno fertilissimo in cui ogni seme, fatalmente e necessariamente, è destinato a germogliare. Trasformandosi in pianta benefica o in mostro minaccioso. Ammettiamolo. L’uomo è un universo senza età. E se un’età esiste, questa, più che anagrafica, è spirituale. Vi sono giovani decrepiti a diciott’anni, perché morti dentro, ed anziani che irradiano positività.

Giovane e vecchio sono i due poli di un binomio che si alimentano a vicenda. Se scompare uno dei due, scompare anche l’altro. Se l’adulto smette di essere adulto, il ragazzo smette di essere ragazzo. In tal modo, agli adulti che si comportano da bambini, corrispondono i bambini che si comportano da adulti. Ambedue accomunati dalla stessa immaturità ed incapacità di assumersi delle responsabilità.

A rifletterci sopra, tuttavia, devo riconoscere – umilmente – che quello slogan è sostanzialmente vero. Si, lo ammetto. Di fronte alla guerra, gli adulti hanno una responsabilità maggiore dei giovani. Infatti, la generazione dei cinquantenni-sessantenni, tutta presa, non da ciò-che-conta ma da ciò-che-si-conta, cioè dagli interessi pecuniari e di potere, ha rinchiuso i giovani nell’angusto orizzonte dell’immediato, scippandoli di un più ampio orizzonte mentale. Ed una guerra costituisce, per antonomasia, la massima deprivazione di orizzonte. La più grave sottrazione di stima verso il genere umano e quindi di progettualità ed entusiasmo. Ci meravigliamo, allora, ipocritamente, che molti giovani sono paralizzati nell’anima. E ci rimaniamo male quando essi rivelano, nei comportamenti, uno strano “corteggiamento della morte”. Dimenticando che dal giovane la società si aspetta, come contributo, il progetto, l’entusiasmo, l’aiuto. Mentre, dall’anziano, tutti attendono un contributo di esperienza, saggezza, equilibrio. Ma se l’anziano nega la sua identità – e quindi la sua funzione – ed insegue il mito dell’eterna giovinezza,perché mai i giovani dovrebbero rispettare ed amare gli adulti. Loro che la giovinezza la vivono, non mitizzata ma reale?

Infine, c’è un esercizio di ottimismo al quale tutti dobbiamo sottoporci. Quando la narrazione delle atrocità belliche ci sconvolge, per favore, pensiamo con convinzione che il bene che ogni giorno viene compiuto nel mondo è infinitamente superiore ad ogni orrore.

Luciano Verdone

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