
Devo ammettere che Sanremo è un rituale che coinvolge la gente, unificandola, trasformandola da massa amorfa in categoria sociale.
Se c’è qualcuno che non dovrebbe valutare Sanremo, questo sono io. Non guardo la trasmissione, non mi riconosco nella gran parte delle canzoni, non conosco i cantanti … Perché, quanto riguarda il repertorio musicale sono alla preistoria, non vado oltre Battisti, Mina e Celentano …
Soprattutto, mi sento un alieno rispetto a quanti seguono il festival con evidente gratificazione. E te ne accorgi da come ne parlano il giorno dopo. Negli ultimi anni, poi, ero nauseato da tutto quel Rap che, ai miei occhi, con la sua ripetizione ipnotica, evoca, in qualche modo, il camminare senza meta dell’uomo d’oggi, simile al comportamento compulsivo di un criceto che gira all’infinito dentro una ruota. Anche se mi dicono che, quest’anno, di canzoni Rap ce ne sono molto poche.
Oltre all’immancabile uso della parolaccia, intesa come marcatore di genere letterario, basato sul linguaggio comune. Si dirà che l’arte non ha finalità didascaliche, educative, ma è espressione pura di stati d’animo. Sono convinto, invece, che anche l’arte, come qualsiasi altra manifestazione umana, sia tenuta alla ricerca di modelli elevati di comunicazione. Nel suo stesso interesse. Così, come sono convinto che il mio non è moralismo, cioè caduta nei dettagli, ma attenzione ai principi basilari, etici ed estetici.
Eppure, devo ammettere che Sanremo è un rituale che coinvolge la gente, unificandola, trasformandola da massa amorfa in categoria sociale. Qualcosa in cui società e nazione si fondono.
Società, in quanto persone d’ogni ceto e mentalità si ritrovano aggregate da questo appuntamento con la leggerezza, sentendosi allineate su qualcosa che le accomuna. Un po’ come si sentono accomunati in categoria i frequentatori delle spiagge a luglio ed agosto. Nazione, in quanto, alla fine, Sanremo rimane fondamentalmente un indicatore della sensibilità artistica italiana. Una campana che aduna gli Italiani sparsi in tutto il mondo. E non solo loro.
Senza escludere che una canzone, attraverso la musica, le similitudini verbali, il ritmo delle danze, può trasmettere emozioni e messaggi, in modo più efficace di un’esposizione logico discorsiva.
E che dire di quanti, in questi giorni, ascoltavano, rileggendone il testo sul cellulare, la canzone di Simone Cristicchi che racconta quando, con il passare del tempo, noi diventiamo genitori dei nostri genitori, restituendo l’amore ricevuto: “Quando sarai piccola ti aiuterò a capire chi sei, Ti starò vicino come non ho fatto mai … Quando ti prenderò in braccio E sembrerai leggera come una bambina sopra un’altalena …”
Qualcuno ha scritto che una canzone non è altro che la foto di uno stato d’animo sociale.
Luciano Verdone