A Teatro Quirino di Roma è stata ufficialmente battezzata ‘Sinistra italiana’. Per ora si tratta di un gruppo parlamentare (alla Camera, ma non ancora al Senato), poi diventerà un partito.
Dentro ci sono gli ex Pd Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre, Sel ed ex grillini come Francesco Campanella.
Chi ci sia nel loro ‘mirino’ è chiaro in ogni intervento: non la destra, a cui si fa cenno a malapena, non i pentastellati, descritti soprattutto come competitor, ma il Pd di Matteo Renzi.
Trovano fastidiosa la definizione di ‘Cosa rossa’ per ricordare la “Cosa” dei tempi di Achille Occhetto, e chissà se anche per questa ragione il simbolo scelto è arancione, cosicchè il rosso della “rivoluzione proletaria” rimane regolarmente conservato solo nei cassetti della memoria o degli scritti di Lenin e Marx.
Ma poi la platea è di quelle che quando Claudio Fava li chiama “amici” pretende che si usi la parola “compagni”, quella così cara ai comunisti italiani. E che, quando D’Attorre afferma che Berlinguer non è “un pezzo museale” si scalda.
Di certo, il teatro è pieno al punto che 2-300 persone vengono tenute fuori per motivi di sicurezza dai vigili del Fuoco. Per loro viene improvvisato un comizio bis, per strada. E’ un po’ l’assemblea del ‘toh, chi si rivede’.
In prima fila ci sono anche Fabio Mussi, Cesare Salvi, Aldo Tortorella, Massimo Villone. Poco più in là Luca Casarini. Non ci sono Maurizio Landini e Pippo Civati. Assente giustificato da motivi familiari è invece Nichi Vendola che però, in una lettera, definisce la ricostruzione della sinistra come una “urgenza” per il Paese.
Ma il vero convitato di pietra è Pier Luigi Bersani. A lui si rivolgono i due fuoriusciti dem, Stefano Fassina e Alfredo D’Attore, con toni per la verità diversi. Più sprezzante il primo: “Ci hanno accusato di fare il gioco della destra, non è così: il gioco della destra – gli replica a distanza – lo fa chi fa la destra con il jobs act, con l’intervento sulla scuola, con l’Italicum, con la riforma del Senato e della Rai”.
Quello di D’Attorre, invece, suona più come un appello. “Comprendo – afferma – il suo tormento e il suo dolore che sono stati anche il mio, ma quelle cose giuste che lui dice, di visione della società italiana, dobbiamo dircelo: nel Pd oggi sono impossibili”.
La sua previsione è che sempre più iscritti del partito democratico andranno via per cercare una nuova casa in cui sentirsi a proprio agio. “Stiamo prendendo atto – sottolinea – che la battaglia che pensavamo di fare nel partito che abbiamo fondato, per la radicalità della deriva renziana, non è più possibile”.
Gli strali sono tutti per il presidente del Consiglio. Fassina descrive la nuova formazione come “alternativa al liberismo da happy days” di Matteo Renzi, D’Attorre assicura che non faranno “il gioco del partito della Nazione, che vuole una sinistra di testimonianza”. “Noi – dice – costruiremo una forza larga, patriottica, popolare”.
E il segretario del Pd sceglie di replicare, ma lo fa tentando di dissimulare il suo interesse. Ritwittando il suo intervento di martedì ai gruppi, pubblicato dal Foglio, che già contiene la sua risposta: “A sinistra l’operazione che stanno tentando alcuni nostri anche ex compagni di viaggio è secondo me intrisa di ideologismo. La rispetto, ma fa a pugni con la realtà”.