Da alcuni giorni gira sui social un video di 3 minuti, preso dalla serie Call my agent, in cui Paolo Sorrentino parla con un certo Vittorio della sua esperienza, in veste di nonno, degli incontri scuola famiglia. Il video mi è arrivato da colleghi, entusiasti per come Sorrentino bacchettava i genitori e ne criticava l’entusiasmo immotivato, definito da lui “il sentimento più orrendo dell’essere umano”. In un clima di esaltazione collettiva, c’è tra i genitori chi si propone come insegnate di batteria, chi di macarena, chi come allenatore di ciclismo pur guardandolo solo in televisione e poi c’è lui, Sorrentino, su cui alla fine cade lo sguardo di tutti e che declina l’invito degli astanti a fare le riprese dei corsi pomeridiani e ne spiega il perché. Dice che quando i suoi figli erano piccoli, il pomeriggio dopo la scuola o durante le vacanze, semplicemente giocavano per i fatti loro e tutto sommato ora gli sembrano felici. Il suo intervento gela gli interlocutori, alcuni dei quali lo bollano come assassino e delinquente. La scena si conclude con Sorrentino che comunica a Vittorio di aver scritto una lettera a Dio per chiedergli di educare i genitori.
Appena ho visto il video mi è arrivato subito quel misto di sottile cinismo, arguzia e supponenza che per molte persone è ragione di vanto, oltre che segno di superiorità intellettuale. Questa modalità narrativa veicola una visione della realtà: dei genitori, che hanno tempo da perdere, dal basso delle loro passioni amatoriali o anche velleità distorte, propongono dei progetti pomeridiani nella scuola dei loro figli, accolti dalla maestra, che dalle poche battute sta al loro stesso gioco, animata dallo stesso entusiasmo immotivato. Dalle reazioni che l’algoritmo mi ha messo davanti agli occhi sui social, ho notato che i docenti accoglievano Sorrentino come un giustiziere, con lo stesso entusiasmo che lui criticava nei genitori. E non ho potuto non pensare: “Certo i genitori sono un problema grosso nella scuola, ma perché lo sono diventati? E poi, in quanti docenti, presidi, impiegati, ministri, artisti c’è lo stesso tipo di esaltazione vuota? E ancora, perché la gestione del tempo libero degli studenti, ma anche degli adulti è cambiata negli ultimi 30 anni? E infine, a cosa dobbiamo questo fiorire di progetti formativi e ricreativi nelle scuole, sia per alunni che per docenti?”
Cominciando dall’inizio, gli argini sono crollati perché il cliente ha sempre ragione, e il cliente è il genitore, che decide di scegliere una scuola piuttosto che un’altra, allungandone l’esistenza, evitando la riduzione delle sezioni e la nomina dei docenti su più scuole, complicandone così il lavoro. Il ricorso da parte del genitore è l’arma che vince a prescindere, non la fermano nemmeno i colpi di pistola. Ma chi è stato a indebolire gli argini, spesso minandoli di proposito, se non ministri, presidi, docenti e in più gli intellettuali e i giornalisti che sparano a zero sulla categoria, fomentando e reindirizzando a piacimento e convenienza la rabbia sociale? Nessuno è al riparo dall’esaltazione immotivata, che spesso nasconde disagi inconsapevoli e vuoti esistenziali compensati alla meno peggio, come un abisso coperto dallo scotch. Scegliere di raccontarne una manifestazione particolare, però, è una scelta politica, così come ogni nostra azione lo è e in più quelle artistiche ne intensificano ulteriormente la resa.
I progetti nella scuola, oltre che per rimpolpare l’offerta formativa dell’istituto, con una ricaduta positiva sulla sua immagine, possono assolvere a due funzioni: da un lato danno delle possibilità formative e ricreative ai ragazzi che non potrebbero permettersele al di fuori di essa per questioni familiari, sociali, economiche o organizzative, dall’altro sono un’opportunità per i genitori lavoratori, senza rete familiare e con scarse risorse, di sapere che i propri figli sono in un luogo con dei coetanei, che al di là della parrocchia, sembra l’unico posto aggregativo gratuito rimasto.
Ora giungiamo all’ultima questione del perché i figli di Sorrentino, pur non avendo preso parte a nessun progetto, sono così felici oggi. Senza scadere in un facile umorismo, vorrei semplicemente capovolgere l’immagine e la domanda: perché oggi sembra così difficile per i ragazzi interagire ed aggregarsi fuori da contesti controllati e pensati dagli adulti? Anche prima del covid, dai sondaggi si riscontrava un aumento di forme ansiose e depressive tra ragazzi sempre più giovani, come mai? Perché i soldi del PNRR pensati per aumentare il benessere nella scuola saranno utilizzati per la sua digitalizzazione? Perché la maggior parte dei docenti si presta a un gioco al massacro, pur se cosciente della ricaduta su se stessi e sulla società tutta? Perché continua a sottomettersi a regole e leggi sempre più ottuse, per poi sollazzare scodinzolando al primo che fa della sgangherata ironia sulla propria condizione? Evitare queste domande oltre alla ricerca delle risposte va a gonfiare ulteriormente quell’entusiasmo che è l’altra faccia del cinismo. La stessa falsa moneta. E certi interventi e certe reazioni hanno lo stesso effetto della saliva in aria, che si diffondeva, ai miei tempi, nell’aula dopo la lezione di musica, ad opera del compagno che con tutta disinvoltura roteava in aria il tubo della diamonica, provocando quella pioggia in caduta irregolare sugli astanti, dopo aver suonato le note di brani tristi e monchi, quanto ogni scuola.
Nunzio Di Sarno