Sulle norme in materia di sostegno e corsi di specializzazione contenute nel recente decreto legge 71 si sta sviluppando un vivace dibattito che sembra preludere a modifiche importanti che potrebbero essere adottate dal Parlamento nella fase di conversione in legge del provvedimento.
I punti controversi sono parecchi, ne parliamo con Evelina Chiocca, docente nei corsi di specializzazione per il sostegno e presidente del CIIS (Coordinamento insegnanti italiani di sostegno).
Professoressa, proviamo a passare in rassegna quelli che al momento appaiono i punti critici. L’articolo 6 del DL parla di percorsi formativi “ridotti” per i docenti con tre anni di servizio su sostegno e prevede un decreto ministeriale che dovrebbe definire anche un “profilo professionale del docente specializzato”. E’ tutto chiaro?
Direi proprio di no: il DL ricorre all’espressione già utilizzata nell’Allegato A del decreto 30 settembre 2011, con il quale venivano istituiti i corsi di specializzazione di 60 CFU.
Non è chiaro, a questo punto, se il nuovo profilo varrà unicamente in via straordinaria e transitoria o se, invece, si abbinerà a quello esistente o se andrà a costituire un’ulteriore definizione. Considerato che gli enti individuati per l’attivazione dei “percorsi in sanatoria” indicati dal decreto-legge sono, oltre a INDIRE, anche le Università (che potranno promuovere i corsi autonomamente o in convenzione con INDIRE), la definizione del “profilo in uscita” non dovrebbe differire in qualità, almeno sulla carta, mentre con molta probabilità lo sarà in termini di completezza, a fronte di un piano di studio, quello di formato ridotto, esattamente pari alla metà rispetto a quello attualmente attivato dalle Università.
E quindi?
E’ semplice: i percorsi di 30 CFU non potranno garantire il conseguimento delle stesse competenze che altri acquisiranno con i percorsi di 60 Cfu, mediante “insegnamenti, attività laboratoriali e di tirocinio, compresi gli esami conclusivi”.
Non solo, ma fra i requisiti di accesso, salvo che il decreto ministeriale non fornisca altre indicazioni, risulta assente “l’abilitazione all’insegnamento”. In pratica con il conseguimento della specializzazione altro personale privo di abilitazione potrà essere assunto nei ruoli della scuola in qualità di docente, che, però non potrà “insegnare” alcuna disciplina.
Potrebbe aprirsi un ricco contenzioso…
Sì, a me sembra che questa “sanatoria” creerà disparità fra coloro che, con tre anni di servizio, si stanno iscrivendo ai corsi di specializzazione di 60 Cfu, erogati in presenza, e coloro che frequenteranno percorsi da 30 Cfu, che saranno attivati fra qualche mese in modalità online. Non se ne comprende la logica.
La sensazione è che mano a mano che passa il tempo si tenda a ridurre sempre più il livello e la qualità della formazione
Proprio così: non si capisce perché, in tema di inclusione scolastica, i corsi di formazione siano costantemente soggetti a modifiche per lo più al ribasso (si pensi ai corsi di 400 ore del DI 468/1998 o ai corsi di 200 ore attivati con un provvedimento del 2008, solo per citarne alcuni). Non credo che la qualità della scuola si attui mediante la riduzione dei CFU e l’inevitabile riduzione delle conoscenze e delle competenze!
Il decreto risolve anche il problema dei docenti che hanno acquisito un titolo all’estero e che sono in attesa del riconoscimento da parte del Ministero. Cosa ne pensa?
Per queste persone, l’art. 7 prevede un non ben definito “percorso abbreviato”, che si ipotizza in modalità online, di cui il provvedimento non specifica il numero di crediti da acquisire; questi percorsi saranno attivati esclusivamente da INDIRE. Si tratta, in sintesi, di percorsi riservati a coloro che hanno conseguito “una formazione professionale o titolo di formazione” all’estero e che “hanno pendente, oltre i termini di legge, il procedimento di riconoscimento del titolo di formazione ovvero hanno in essere un contenzioso amministrativo per mancata conclusione, entro i termini di legge, del procedimento”. Queste persone potranno conseguire il titolo di specializzazione, per un unico grado di scuola, purché, iscrivendosi “ai percorsi di formazione”, attivati dall’INDIRE, presentino contestualmente formale “rinuncia ad ogni istanza di riconoscimento sul sostegno”.
Le piace questa soluzione?
Mi lascia molto perplessa, ma credo che debba anche farci riflettere.
Preoccupa, in sostanza, la ridotta attenzione alla formazione del personale della scuola. Mi ripeterò, ma non va dimenticato che una delle criticità sovente sollevate dagli stessi docenti e dalle famiglie riguarda le competenze professionali dei docenti.
Perché il Ministero, anziché attivare percorsi di qualità, relativi alla formazione sulle tematiche dell’inclusione, rivolti a tutto il personale docente, si limita a promuovere “mini-corsi online” per personale non abilitato all’insegnamento. Se questa scelta garantirà il posto di lavoro ad alcuni, è plausibile ritenere che non assicurerà alla scuola quella qualità da anni auspicata.
Secondo lei questo decreto legge risponde ad un disegno politico più ampio in materia di inclusione?
Secondo me si profila sempre più all’orizzonte l’istituzione di una “specifica classe di concorso sul sostegno”, nella quale verrebbero collocati o bloccati coloro che, grazie proprio a questo provvedimento, con una manciata di CFU, conseguiranno la specializzazione, ma non l’abilitazione all’insegnamento.
Si avverte sempre più l’intenzione di separare “coloro che si occupano dei soli alunni con disabilità” (e non più delle attività di sostegno alla classe, come recita la legge 104/92) da “coloro che si occupano dell’insegnamento disciplinare” rivolto agli altri alunni, quelli “non con disabilità”.
E’ un disegno rischioso?
Direi proprio di sì, perché contribuisce a sostenere sempre più la falsa idea/convinzione che l’alunno con disabilità non sia alunno di tutti i docenti della classe, ma “esclusiva proprietà” di un solo docente.
Si tratteggia una scuola diversa da quella promossa sino ad oggi: a parole si declina con “scuola dell’inclusione”, nei fatti si traduce con “scuola della separazione”.
Dal punto di vista culturale si tratta di un pericoloso arretramento separatista.
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