Il 2012 non sembra davvero sorridere agli alunni con problemi di apprendimento. All’avvio delle operazioni per ricollocare migliaia di docenti soprannumerari specializzandoli nel sostegno attraverso un corso di formazione “soft” e alle sempre maggiori spinte, anche politiche, di introdurre un’area unica alle superiori (con tanti docenti diplomati che si ritroveranno a supportare gli alunni su contenuti che non hanno mai trattato durante i loro studi!), nelle ultime ore sono emerse altre due notizie sul settore che faranno altrettanto discutere. La prima arriva dal Veneto, dove l’Usr starebbe per pubblicare una circolare che renderà obbligatoria, per far scattare il posto di sostegno, la presentazione del certificato d’invalidità da parte delle famiglie.
L’introduzione di una certificazione così “pesante” sembra porre da subito due gravi limiti: il primo riguarda la prevaricazione di tutte le figure – medici, paramedici, assistenti sociali, assistenti alla comunicazione, genitori, ecc. – , che operano al fine di realizzare la diagnosi funzionale ed il Pei di ogni singolo alunno con problemi di apprendimento; il secondo è relativo al fatto che l’obbligatorietà dell’invalidità civile taglia fuori tutte quelle forme più lievi di carenze nell’apprendere (come la dislessia, la discalculia e disortografia che non possono essere annoverati come disturbi neurologici). La decisione appare ancora più contraddittoria se si pensa che giunge proprio quando sembrava che questi alunni fossero maggiormente tutelati anche a livello normativo (in particolare con l’approvazione delle Legge 170 dell’8 ottobre del 2010). Senza contare che rendere indispensabile l’invalidità per accedere al sostegno sembra contrastare con quanto ribadito il mese scorso dal Miur sull’individuazione dei posti in deroga attraverso la circolare sugli organici di fatto. Dove non si parla di gravità della diagnosi, ma di bisogni da valutare di volta in volta attraverso le varie equipe coinvolte.
Una circostanza, quest’ultima, sottolineata da Alessandra Michieletto, segretario provinciale Sfida, Sindacato famiglie italiane diverse abilità, e rappresentante della Gilda, secondo cui è evidente che in Veneto “molte famiglie rinunceranno al sostegno pur di non etichettare il proprio figlio, in primis i genitori di ragazzi che hanno difficoltà più leggere e che hanno bisogno solo di assistenza nell’apprendimento e nelle relazioni”.
Ma secondo Giulia Giani, docente specializzata nel sostegno e tra le più combattive nell’opporsi all’area unica alle superiori, in Italia il problema è anche quello della scarsa valorizzazione di chi affianca gli alunni ‘certificati’ nel loro percorso di apprendimento: “iniziamo a non considerarli ‘gli insegnanti dei disabili’, ma insegnanti bis-abili, che hanno acquisito una formazione aggiuntiva che può portare un vero contributo alla scuola”. Per farlo, continua Giani, serve una maggiore considerazione a livello amministrativo. Ma anche da parte dei genitori, i quali dovrebbero fare loro “una visione di scuola che non ‘tenga a scuola’ i loro figli, ma che realizzi il diritto all’istruzione di tutti nella complessità della scuola”. Come se non bastasse, è sempre di queste ore la notizia che colloca l’Italia tra i paesi europei con meno alunni certificati e quindi bisognosi di didattica speciale: secondo un corposo studio dell’Agenzia europea per lo sviluppo dell’istruzione per studenti con bisogni specifici, nel 2010 a fronte di 7.326.567 studenti che frequentano l’istruzione dell’obbligo, appena il 2,3% (170.696) figurano tra coloro che hanno “bisogni educativi specifici”. Il dato appare davvero modesto: basta dire che in questa graduatoria, sempre rapportata al numero nazionale effettivo di iscritti in età di scuola dell’obbligo, siamo al quart’ultimo posto dopo Svezia (1,5%), Bulgaria (2%) e Lussembrugo (2,2%). Mentre in testa alla classifica per alunni che richiedono una didattica specifica figura l’Islanda con il 24% (oltre 10mila su circa 45mila alunni complessivi). Seguita, a distanza, dalla Lituania con l’11,7% (più di 50mila su 440mila totali).
Secondo Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, “questi dati dimostrano che l’Italia continua a disattendere non solo le indicazioni che giungono dall’Europa ma addirittura le proprie norme e le indicazioni dei propri tribunali. Come la legge 170 del 2010, che avrebbe dovuto garantire adeguata assistenza didattica a 300mila alunni con disturbi specifici di apprendimento. Per non parlare della pronuncia della Corte Costituzionale, che con la sentenza numero 80 del 26 febbraio del 2010 ha dichiarato non attuabile fissare preventivamente il numero dei posti degli insegnanti di sostegno. Ancora una volta – conclude Pacifico – si lede un diritto fondamentale, quello allo studio, per mere ragioni di finanza pubblica”.
Ma secondo Giulia Giani, docente specializzata nel sostegno e tra le più combattive nell’opporsi all’area unica alle superiori, in Italia il problema è anche quello della scarsa valorizzazione di chi affianca gli alunni ‘certificati’ nel loro percorso di apprendimento: “iniziamo a non considerarli ‘gli insegnanti dei disabili’, ma insegnanti bis-abili, che hanno acquisito una formazione aggiuntiva che può portare un vero contributo alla scuola”. Per farlo, continua Giani, serve una maggiore considerazione a livello amministrativo. Ma anche da parte dei genitori, i quali dovrebbero fare loro “una visione di scuola che non ‘tenga a scuola’ i loro figli, ma che realizzi il diritto all’istruzione di tutti nella complessità della scuola”. Come se non bastasse, è sempre di queste ore la notizia che colloca l’Italia tra i paesi europei con meno alunni certificati e quindi bisognosi di didattica speciale: secondo un corposo studio dell’Agenzia europea per lo sviluppo dell’istruzione per studenti con bisogni specifici, nel 2010 a fronte di 7.326.567 studenti che frequentano l’istruzione dell’obbligo, appena il 2,3% (170.696) figurano tra coloro che hanno “bisogni educativi specifici”. Il dato appare davvero modesto: basta dire che in questa graduatoria, sempre rapportata al numero nazionale effettivo di iscritti in età di scuola dell’obbligo, siamo al quart’ultimo posto dopo Svezia (1,5%), Bulgaria (2%) e Lussembrugo (2,2%). Mentre in testa alla classifica per alunni che richiedono una didattica specifica figura l’Islanda con il 24% (oltre 10mila su circa 45mila alunni complessivi). Seguita, a distanza, dalla Lituania con l’11,7% (più di 50mila su 440mila totali).
Secondo Marcello Pacifico, presidente dell’Anief, “questi dati dimostrano che l’Italia continua a disattendere non solo le indicazioni che giungono dall’Europa ma addirittura le proprie norme e le indicazioni dei propri tribunali. Come la legge 170 del 2010, che avrebbe dovuto garantire adeguata assistenza didattica a 300mila alunni con disturbi specifici di apprendimento. Per non parlare della pronuncia della Corte Costituzionale, che con la sentenza numero 80 del 26 febbraio del 2010 ha dichiarato non attuabile fissare preventivamente il numero dei posti degli insegnanti di sostegno. Ancora una volta – conclude Pacifico – si lede un diritto fondamentale, quello allo studio, per mere ragioni di finanza pubblica”.