Le ore di sostegno devono essere appropriate per l’alunno disabile, rispettando sempre le indicazioni del Pei. Lo ribadisce una sentenza del Tar Campania, che condanna il Ministero dell’Istruzione al risarcimento del danno non patrimoniale.
La sentenza nasce dal caso di un’alunna della scuola dell’infanzia a cui è stato assegnato un insegnante di sostegno per sole 2 ore e mezza al giorno. I genitori della bimba, hanno proposto ricorso in quanto a loro modo di vedere la quantità di ore assegnate fosse insufficiente e quindi illegittima rispetto a quelle garantite dalla legge per gli alunni diversamente abili. Hanno inoltre chiesto, scrive Il Sole 24 Ore, la condanna del Miur al risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in mille euro per ogni mese di mancanza dell’insegnante di sostegno nel rapporto 1/1.
Il Tribunale amministrativo della Campania ha accolto il ricorso e ha condannato il Miur al risarcimento del danno, facendo leva sulla mole di giurisprudenza sul tema dell’accertamento del diritto di un alunno diversamente abile all’assegnazione di un numero di ore di sostegno adeguate alla patologia che ha comportato la diagnosi di disabilità, con la peculiarità dell’accoglimento della domanda di condanna al risarcimento del danno non patrimoniale.
Bisogna evidenziare che il Tar campano mette in risalto il ruolo del piano educativo individualizzato (Pei), qualificato come «culmine della fase procedimentale volta all’assegnazione dell’insegnante per ciascun alunno», nel contesto del Dlgs 66/2017 che impone al dirigente scolastico di attribuire a ciascun alunno disabile un numero adeguato di ore di sostegno.
In questo caso i giudici del Tar hanno accolto la domanda di accertamento del diritto dell’alunna di usufruire di un insegnante di sostegno per l’intero orario di frequenza scolastica, posto che è l’unico modo per garantire adeguata tutela al diritto all’istruzione, obbligando la scuola a integrare il Pei con l’indicazione delle ore di sostegno necessarie e ad adottare le misure necessarie per evitare che l’alunna fruisca solo nominalmente del percorso di istruzione.
C’è però un punto su cui vale la pena soffermarsi in questa vicenda. Infatti, in molti casi la domanda risarcitoria è stata respinta, dovendo essere basata sulla specifica prova di quali siano state in concreto le conseguenze pregiudizievoli sull’alunno cagionate dall’illegittimità degli atti.
Invece, i giudici amministrativi campani, cambiano prospettiva, anche sulla scorta di alcune recenti pronunce della Cassazione grazie alle quali il risarcimento non è collegato alla sola valutazione del pregiudizio subito, posto che il danno, continua Il Sole 24 Ore che riprende la sentenza, può essere dimostrato con tutti i mezzi di prova quali il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni, personalizzando il ristoro del danno sulla base del caso singolo tenendo conto:
– del danno dinamico relazionale (il vecchio “danno esistenziale”), in cui rientra la mancanza dell’insegnante protratta per un tempo idoneo a compromettere la finalità di inclusione dell’alunno;
– del danno da sofferenza interiore (il vecchio “danno morale”), che consiste nella compromissione delle attività realizzatrici della persona umana, quali la lesione della serenità familiare o del godimento di un ambiente salubre, le sofferenze e i patemi d’animo che il disabile provi nel ritrovarsi in classe senza insegnante di sostegno.
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