Meno ore di sostegno rispetto quelle chieste dalla Asl e affidate pure a docenti non specializzati. È il destino di tanti alunni italiani, i cui problemi di apprendimento sono certificati attraverso una diagnosi associata al comma 3, articolo 3 della Legge 104/92: in quel comma si parla di problemi che assumono “una connotazione di gravità” e del fatto che “le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici”.
Solo che questo troppo spesso non avviene, con un danno palese per il giovane disabile. Prima di tutto perché gli Uffici scolastici assegnano alle scuole un numero e di docenti troppo basso di ore, con il risultato che i presidi sono costretti a plasmare l’offerta formativa per gli iscritti disabili con quello che hanno, riducendo quindi il numero di ore settimanale inizialmente assegnate e lasciando il massimo delle ore solo ai casi più gravi.
In secondo luogo, rimane alto il numero di insegnanti privi di specializzazione: sono diverse migliaia e siccome lo Stato continua a bandire corsi per un numero di corsisti inferiore ai posti vacanti (circa 14 mila per quello che si avvierà la prossima settimana con i test preselettivi), il fenomeno delle cattedre affidati a docenti non titolati a fare didattica speciale è destinato a rimanere in vita.
Il 13 aprile è stata resa pubblica una di queste storie. Riguarda un’alunna abruzzese con sindrome di Down e crisi epilettiche, la cui Asl non ha esitato ad assegnare, tramite la diagnosi funzionale, un docente di sostegno con rapporto di 1 a 1, ovvero il massimo delle ore settimanali di sostegno (ad esempio 18 nella scuola secondaria e 22 nella primaria), completate con un assistente culturale.
Solo che, scrive l’Ansa, la scuola statale di Morro d’Oro, paese della provincia di Teramo, frequentata dalla bambina non avrebbe ottemperato a queste richieste. Così sono partite le diffide e i ricorsi al Tar.
La mamma della bambina, Claudia Frezza, parla di un vero e proprio “calvario” che ha inizio dieci anni fa, fin dalla scuola dell’infanzia, quando alla figlia “vengono ridotte le ore di sostegno a solo nove ore a settimana a fronte di una: abbiamo impugnato il provvedimento dinanzi al Tar Abruzzo – racconta la donna – che con sentenza del 2013 ha disposto l’annullamento dello stesso, sancendo il diritto della minore ad essere affiancata da un insegnante di sostegno qualificato nel corso dell’intero orario scolastico”.
Negli ultimi due anni, però, scrive la madre della giovane, né la scuola – l’Istituto comprensivo di cui fa parte è quello di Notaresco (Teramo) – né l’Ufficio scolastico provinciale “si sono dimostrati in grado di trovare una soluzione al problema, in un vergognoso rimpallo di responsabilità”. Il risultato, racconta la mamma, è che dal settembre 2017 alla bambina sono stati assegnati prima un insegnante ordinario, di inglese, e poi uno di educazione fisica, al posto di un “docente di sostegno qualificato, accampando come scusa la ‘carenza di organico'”.
La conclusione, per i genitori dell’alunna del teramese, è amarissima; “i diritti che le sono stati negati e i conseguenti danni subiti, non sono cosa degna di un’istituzione scolastica né di un Paese civile”.
Se è scontato schierarsi con le famiglie e con gli alunni che subiscono questi soprusi, non è, invece, sapere come vanno a finire queste storie: appena il 10-15% dei genitori, spinti non di rado delle stesse scuole, fa ricorso. E lo vince nel 99% dei casi a mani basse, seppure con i tempi della giustizia italiana.
Mentre la stragrande maggioranza di chi si vede negato il diritto ad un sostegno completo e di qualità, rimane a guardare. E, quindi, subisce l’ingiustizia più ingiusta, attuata a spese degli alunni più indifesi e bisognosi di aiuto.
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