I tagli di spesa, che riducono il monte ore degli insegnanti di sostegno, sono inammissibili quando si ha a che fare con bambini con grave disabilità iscritti alla scuola dell’infanzia. A stabilirlo è la Cassazione, che con la sentenza 25011 ha condannando il Miur e una scuola friulana per condotta discriminatoria verso una bimba disabile.
Secondo i magistrati ermellini, l’amministrazione scolastica deve garantire il monte ore nella sua interezza, senza alcuna discrezionalità, nella misura programmata attraverso il piano educativo individualizzato.
“In presenza di un handicap grave – affermano le Sezioni Unite civili della Cassazione – l’amministrazione ha gli strumenti per dare piena attuazione alle misure corrispondenti alle esigenze del bambino, per come prefigurate in concreto a seguito della redazione conclusiva del piano educativo individualizzato (Pei), il quale, accertando la misura in cui il servizio di sostegno è necessario per quel disabile, individua un nucleo indefettibile insuscettibile di riduzione o compressione in sede di determinazioni esecutive”.
Per questa ragione, i supremi giudici, hanno confermato che a una bimba friulana con handicap del 100% deve essere garantito tutto il monte ore settimanale di sostegno, pari a 25 ore stabilite dal Pei, che le consentirebbe di frequentare l’asilo a tempo pieno mentre l’amministrazione scolastica dell’Istituto comprensivo di Tavagnacco (Udine), dove era iscritta, le aveva dato il tutor solo per 12 ore e mezzo. Invano il Miur e la scuola si sono difesi dall’accusa di comportamento discriminatorio facendo presente che “l’alunna, nel corso dell’anno scolastico 2011-2012, ha usufruito di 12,5 ore di sostegno e di 9 ore di educatore socio-educativo, per un totale di 21,5 ore settimanali, interamente coperte dalle predette figure professionali, oltre che dai docenti ordinari, e che il personale scolastico si è attenuto ad una ‘logica e pratica inclusiva’, senza affidamento esclusivo ad un docente differenziato rispetto ai compagni”.
“Di qui – ad avviso del Miur e della scuola, difesi dall’Avvocatura dello Stato – l’irrilevanza del monte ore, non potendo trarsi alcuna discriminazione dal fatto che la minore abbia frequentato la scuola fino alle ore 13 anzichè a tempo pieno”. Inoltre, per l’avvocatura erariale, sussiste “un potere discrezionale della pubblica amministrazione nell’erogazione del servizio pubblico”, e poi “la scuola dell’infanzia, non è scuola dell’obbligo, sicchè non entrerebbe in gioco alcun diritto all’istruzione” tanto è vero che c’è il “contingentamento delle sezioni e le liste di attesa”, e dunque non è un diritto “assoluto e incomprimibile”.
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Nel loro verdetto i supremi giudici replicano che “è esatto che l’iscrizione alla scuola dell’infanzia è facoltativa, ma ciò non toglie che, per espressa previsione legislativa (art.12 legge n.104 del 1992), il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata è garantito anche nella scuola d’infanzia”. “Quanto poi al limite delle risorte disponibili, occorre rilevare che il quadro costituzionale e legislativo – rileva l’alta Corte – è nel senso della necessità per l’amministrazione scolastica di erogare il servizio didattico predisponendo le misure di sostegno necessarie per evitare che il bambino disabile altrimenti fruisca solo nominalmente del percorso di educazione e di istruzione”. E anche i bambini ‘normali’ ne avranno vantaggio perchè – conclude la Cassazione – avere in classe un bambino ‘diverso’, “può indurre a rispettare ed accettare la diversità come parte della diversità dell’umanità stessa”.
Per danni morali, Miur e scuola devono indennizzare con cinquemila euro i genitori della bimba che hanno agito in sua rappresentanza e difesa.
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