Sostegno: una riforma per l’integrazione?

La proposta di legge n. 2444, che rappresenta il principale riferimento per l’opera di riforma del sostegno avviata dal Governo, propone di istituire una rigida divisione tra il ruolo del docente curricolare di classe e il docente di sostegno, separando le relative carriere e rendendo più difficile il passaggio da un profilo all’altro.
Il fine dichiarato è garantire un rapporto più stabile tra docente e studente certificato e migliorare la qualità del servizio. Si tratta quindi di capire se le soluzioni proposte siano effettivamente adeguate al raggiungimento delle finalità espresse, che sono in gran parte condivisibili.

Separare per integrare? Una prima perplessità è legata proprio alla separazione che si intende introdurre tra docenti di sostegno e normali docenti di classe. Creare ruoli rigidamente distinti rischia infatti di collocare in uno spazio marginale i docenti di sostegno e di rafforzare, conseguentemente, lo stigma degli allievi certificati. Formazione e carriere separate, negli altri paesi europei, si coniugano facilmente con la segregazione degli studenti disabili in strutture differenziate, piuttosto che con la loro piena inclusione sociale. Anche il meccanismo di delega, per cui il processo educativo dello studente viene talvolta promosso solo dall’insegnante dedicato e non dall’intero consiglio di classe, rischierebbe di aggravarsi.

Docenti di sostegno senza essere docenti? Quando si vuole elevare il livello e la qualità di una professione si chiede solitamente a chi la svolge di acquisire titoli più alti, non il contrario. Attualmente la formazione del docente di sostegno prevede l’acquisizione di un’abilitazione all’insegnamento, come i docenti curricolari, e la successiva specializzazione nel sostegno. Il docente di sostegno è quindi un docente, esattamente come gli altri, anzi con un titolo in più. La proposta di legge in discussione, invece, prevede che il futuro docente di sostegno non sia abilitato come gli altri docenti di classe, e dunque che non sia, a tutti gli effetti, un docente. Una figura professionale dequalificata, percepita dagli allievi e dagli altri insegnanti come “docente di serie B”, avrebbe senza dubbio più difficoltà nel garantire l’integrazione degli studenti.

Docenti o assistenti? Il docente di sostegno, per svolgere pienamente la sua funzione, è e deve rimanere un insegnante dell’intera classe. È la natura didattica del suo compito che comporta il medesimo percorso di formazione degli altri insegnanti, con una specializzazione in più. Se così non fosse, sarebbe soltanto un assistente alla persona, che provvede ai bisogni primari limitati dalla disabilità. La riforma del sostegno proposta sembra andare proprio in questa direzione: dal piano didattico al piano sanitario-assistenziale, dal docente specializzato, con una carriera comune agli altri docenti, all’assistente-educatore, con un ruolo e una carriera separata. In questo modo non vengono però riconosciute le esigenze formative degli allievi certificati, che non hanno bisogno solo di assistenti o personale medico-sanitario, ma anche di insegnanti.

Lo studente è riducibile alla sua patologia? La proposta di legge prevede, inoltre, una preparazione specifica del docente per singole disabilità, come se la patologia identificasse in modo sostanziale la persona. Tuttavia, chi lavora nel campo della disabilità sa bene che in presenza di uno stesso quadro clinico possono presentarsi situazioni completamente differenti. Il compito di ogni docente dovrebbe essere lavorare sulle potenzialità di ciascun allievo, non sul suo quadro clinico. Per questo sarebbe utile pensare non tanto a iperspecializzazioni per patologie, ma piuttosto funzionali alle competenze da sviluppare, soprattutto nell’ambito dell’autonomia.

Come certificare il diritto al sostegno? Attualmente la certificazione che consente all’allievo di usufruire del supporto dell’insegnante di sostegno è il frutto di un processo prevalentemente burocratico, che adotta uno sguardo esclusivamente medico-assistenziale. Ci sono però fragilità educative, anche significative, che emergono solo nel contesto scolastico e con un’osservazione prolungata nel tempo. Per questo chiediamo che l’unità valutativa che produce la certificazione sia integrata con un referente della scuola o per lo meno sia tenuta a recepire anche le osservazioni dei docenti e dei familiari.

Per scelta o per costrizione? La proposta di legge chiede, inoltre, di vincolare la permanenza dei docenti di sostegno per almeno 10 anni, prima di poter chiedere di passare all’insegnamento disciplinare sulla propria classe di concorso. L’idea, sostenuta da alcune associazioni di familiari, nasce dall’esigenza di garantire un’adeguata continuità didattica agli alunni per un intero ciclo.  Stabilire un vincolo forzato tra docente e allievo non equivale però automaticamente ad un miglioramento in termini di qualità della didattica e benessere psicofisico. La continuità è senza dubbio un valore, ma la sua applicazione meccanica, prescindendo dagli attori concretamente coinvolti nel processo educativo e dalle dinamiche che possono di volta in volta crearsi, rischia di generare pericolose distorsioni. È opportuno, dunque, che sia la famiglia sia il docente mantengano la libertà di interrompere il legame reciproco se questo appare disfunzionale. Non si comprende, inoltre, perché tale vincolo debba essere fatto valere esclusivamente per il docente di sostegno e non per l’intero consiglio di classe, dal momento che si afferma di voler coinvolgere maggiormente nel processo di integrazione tutti i docenti.

Stabilizzare o immobilizzare? Creare un’evidente disparità di trattamento tra docente di sostegno e colleghi curricolari, stabilendo per il primo un legame forzato con singoli allievi e istituti e impedendo così ogni tipo di mobilità, anche territoriale, rappresenta non solo un’illegittimità sul piano del diritto, ma soprattutto non rafforza la motivazione a svolgere al meglio un lavoro tanto delicato e ad elevato rischio di burn out. Le regole della mobilità professionale e territoriale devono garantire a tutti uguali diritti. Se negli anni precedenti la continuità didattica è stata compromessa, ciò è avvenuto in gran parte a causa della condizione di precarietà della stragrande maggioranza dei docenti di sostegno, non per loro volontà personale. Il provvedimento più adeguato per garantire una continuità sana, che non sia vissuta da entrambe le parti come un’imposizione cieca e improduttiva sul piano didattico, è quindi la stabilizzazione dei docenti, non la loro immobilizzazione.

Cambiare le regole a partita in corso? Molti docenti hanno scelto di dedicarsi al sostegno con un vincolo temporale preciso. Modificare retroattivamente e unilateralmente tale vincolo sarebbe illegittimo, oltre che irrispettoso degli impegni assunti in precedenza. L’effetto immediato di un simile provvedimento sarebbe, come è facile prevedere, un forte disagio proprio in coloro che devono promuovere l’integrazione, compromettendo la motivazione ad un lavoro altamente impegnativo. Allo stesso modo, sarebbe un’evidente forzatura giuridica obbligare i docenti in servizio sul sostegno a confluire in una nuova classe di concorso separata, pur essendo stati assunti nella loro classe di concorso curricolare. Per questo chiediamo che sia mantenuto il vincolo quinquennale e che i docenti di sostegno possano scegliere di rimanere nella loro classe di concorso curricolare.

Formazione dall’alto o dal basso? L’integrazione è una sfida complessa, che richiede la collaborazione di tutti i docenti e il coinvolgimento dell’intera classe. Per questo vediamo con favore la promozione di percorsi di aggiornamento sulla didattica speciale per l’intero corpo docenti. Perché questi possano tradursi in un effettivo miglioramento della didattica è però fondamentale che la formazione parta da esigenze reali e si concluda con un progetto d’azione concreto. Non dovrebbe quindi essere definita e gestita dall’alto, dall’università o da soggetti esterni, ma dovrà configurarsi prima di tutto come auto-formazione e ricerca-azione. Sarebbe inoltre opportuno che non fosse vissuta come un’imposizione per pochi. Non condividiamo l’idea di un aggiornamento obbligatorio per i soli docenti nelle cui classi sono presenti allievi certificati. L’acquisizione di una didattica inclusiva è un bagaglio utile ad ogni docente, vista anche la recente normativa sui BES. La partecipazione alle attività di aggiornamento dovrebbe essere quindi libera ed aperta, fortemente incentivata per tutti i docenti, non resa obbligatoria per pochi.

Come procedere? Per una riforma del sostegno che valorizzi le professionalità dei docenti e soprattutto garantisca agli studenti e alle famiglie la migliore integrazione possibile, crediamo sia fondamentale un confronto che coinvolga tutti, anche chi nella scuola lavora quotidianamente.

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