Riceviamo dal professore Salvatore Nocera, noto esperto di disabilità e inclusione, questo interessante intervento che volentieri pubblichiamo
Chiedo scusa ad Ippolito Nievo per aver plagiato il titolo di una sua famosa opera, ma le recenti dichiarazioni del Ministro dell’Istruzione e del Merito sul tema della specializzazione richiesta ai docenti di sostegno, mi ha precipitato indietro di oltre cinquant’anni nella storia della normativa inclusiva.
Il Ministro ha giustamente riconosciuto che l’attuale specializzazione dei docenti di sostegno è superficiale ed insufficiente a rispondere ai differenti bisogni educativi derivanti dalle differenti situazioni di disabilità e propone l’istituzione di specializzazioni monovalenti, valide ciascuna per ciascuna differente situazione di disabilità.
C’erano una volta le specializzazioni monovalenti
Ora, io che sono un ottuagenario avendo quasi raggiunto gli 87 anni di età, mi ricordo benissimo l’epoca delle specializzazioni monovalenti, derivate dalle scuole speciali; le mie memorie vanno sino al ’74 quando la Ministra Falcucci emanò il famoso documento, che prende titolo dal suo nome, col quale si dava inizio in Italia al faticoso, ma entusiasmante, processo dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità.
Ricordo che con l’art. 10 del dpr n. 970/75 si autorizzò l’utilizzo dei docenti specializzati operanti nelle scuole speciali, che si andavano svuotando, per svolgere sostegno nelle scuole comuni. Ricordo le leggi 517/77 e 270/81 che introdussero i docenti di sostegno con specializzazione monovalente a sostegno dell’integrazione scolastica.
Ricordo pure però che nel’85 il Ministero si rese conto dell’impraticabilità di tale organizzazione, poiché era impossibile assicurare in ogni distretto scolastico un numero di docenti specializzati per ciascuna disabilità e si decise di passare alle specializzazioni polivalenti della durata di due anni, che partirono nel 1986.
Da due anni di formazione ad un solo semestre
Purtroppo, negli anni, i vari Governi hanno ridotto tale durata ad un anno ed ora ad un solo semestre (con l’art 6 del DL n. 71/24, tanto criticato).
Conseguentemente la qualità dell’inclusione scolastica è venuta deteriorantesi ed il Ministro del MIM ha pienamente ragione di voler correre ai rimedi.
Però, io non so di quali consiglieri il Ministro di avvalga (perché tutti i ministri hanno sempre dei consiglieri, non potendo conoscere nei minimi dettagli le materie che debbono amministrare).
Infatti i suoi Consiglieri debbono essere ottuagenari come me se gli hanno suggerito di tornare indietro di oltre cinquant’anni alle specializzazioni monovalenti.
Se egli invece si fosse consigliato con le associazioni di familiari ed alunni con disabilità e, per esse, alle loro federazioni maggiormente rappresentative, come FISH e FAND, come per altro gli indicherebbero l’art 4 comma 3 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la legge 18/09, avrebbe saputo che la FISH, proprio per contrastare il crescente degrado dell’inclusione scolastica, ha ampiamente discusso al proprio interno e poi diffuso una PdL; essa tra l’altro prevede il ritorno ai due anni di specializzazione per il sostegno polivalente, con la previsione contemporaneamente di una formazione obbligatoria iniziale di almeno 30 CFU nella pedagogia e nelle didattiche speciali per tutti i docenti curricolari, onde evitare la delega di questi ultimi ai soli docenti di sostegno; inoltre tale PdL prevede dei brevi corsi di aggiornamento obbligatorio all’inizio di ogni anno scolastico per focalizzare l’attenzione del Consiglio di classe sul PEI di quel determinato alunno con quella determinata disabilità. Quindi siamo in molti che invitiamo il Ministro ad avvalersi di più degli esperti e dirigenti delle due federazioni citate.
Ed egli avrebbe pure fatto bene a sentire tali dirigenti ed esperti, prima di emanare gli articoli 6 e 7 del DL n. 71/24 coi quali riduce rispettivamente ad un solo semestre la specializzazione per il sostegno e riconosce quasi automaticamente i titoli di specializzazione conseguiti all’estero; tali norme sono state abbondantemente criticate e quindi qui sorvolo.
Però mi viene un sospetto suggeritomi dalla chiusa del racconto di Ippolito Nievo, a proposito degli esami del marchesino Eufemio; con questi due articoli, non c’è il rischio che alcuni dei neospecializzati (pochi o molti non saprei) abbiano la sorte del marchesino che “al fin latinizzando esercito distrutto, disse exercitus lardi (cioè “di strutto”) ed ebbe il premio”?