1) Vista dall’esterno, la scuola italiana è modernissima, considerata la dose massiccia di “riforme” cui è stata sottoposta negli ultimi anni. L’ammodernamento non sembra però essere andato di pari passo con l’innalzamento qualitativo, visti i risultati nelle classifiche internazionali sulle performance scolastiche. Una descrizione disincantata del modernismo spesso solo lessicale applicato alla scuola l’ho trovata in questi giorni nel libro di un maestro di scuola elementare, fiero della propria professione (Livio Romano, “Diario elementare”, Fernandel). Sono tutt’altro che scandalizzato che un insegnante, per andare in cattedra, debba conoscere la disciplina che è chiamato a insegnare: e attribuirei priorità a queste competenze rispetto a vaghe inclinazioni sociologiche che hanno devastato l’insegnamento (non solo in Italia). E sarò passatista, ma quando mi è capitato di andare sotto i ferri ho cercato anch’io un medico esperto di bisturi.
2) Lo spread educativo tra Roma e Berlino
Lo spread tra Italia e Germania, Paesi affini per rilevanza del manifatturiero, non è solo di ordine finanziario, ma anche di natura educativa. La riflessione è contenuta in uno studio poderoso, condotto dalla Fondazione Rocca e dall’Associazione TreeLLLe, presentato ieri in anteprima assoluta ad alcune testate. Dal volume emergono dati sorprendenti e assai poco incoraggianti per l’Italia, che dovrebbero far suonare più di un campanello d’allarme tra i decisori pubblici.
Tutt’ora quasi la metà della popolazione italiana (24-65 anni) possiede al massimo la licenza media. Il livello d’istruzione della popolazione italiana resta tra i più bassi della Ue. E il livello di istruzione di una popolazione rappresenta una misura approssimativa ma indicativa del livello di maturità civile dei cittadini e della professionalità della forza lavoro: contribuisce a determinare la qualità della vita e il rendimento economico e la competitività del Paese.
Se poi confrontiamo, come fa la ricerca, il sistema educativo italiano (dalle scuole elementari all’università) con quello della Germania, scopriamo che il nostro, diversamente da quello tedesco, continua ad allontanare la prospettive d’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Per esempio in Italia è pressoché assente un’offerta di istruzione post-secondaria professionalizzante, cioè di giovani laureati che siano specializzati sulle professioni richieste dalle imprese. Il punto cruciale è capire se la società italiane, i decisori pubblici e il mondo del lavoro sono disposti ad affrontare con urgenza il tema della qualità e dell’efficienza del sistema di istruzione, formazione e ricerca del nostro Paese
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