Il tempo è scaduto: con la fine di maggio si è esaurita la possibilità per le scuole di esprimere osservazioni e suggerimenti sull’affidamento dei contatti di sponsorizzazioni, così come aveva chiesto a fine aprile ai presidi il ministero dell’Istruzione e del Merito. L’idea, nemmeno troppo orginale, non piace ai sindacati, mentre sembra essere gradita dai presidi, che intravedono misure di finanziamento aggiuntive. Ma su un punto sono tutti d’accordo: il Sud potrebbe non essere in grado di aderire.
Andiamo per ordine. Sull’ingresso dei privati nelle scuole, voluto tra l’altro dal Governo Pd nel 2015 con la Legge di riforma 107 – sindacati e associazioni di categoria hanno storto la bocca, rivendicando un codice etico che renderebbe incompatibile l’adozione di forme di commercializzazione all’interno degli istituti scolastici.
Di diverso avviso il Mim: “Le sponsorizzazioni – ha scritto ai dirigenti scolastici il dicastero bianco di Viale Trastevere – costituiscono per le Istituzioni scolastiche una fonte di finanziamento aggiuntiva rispetto a quelle di natura pubblica e rappresentano un’opportunità concreta per il miglioramento dell’offerta formativa. Il ricorso a forme differenziate di finanziamento, tra cui le sponsorizzazioni, rappresenta, infatti, uno dei venti obiettivi del Piano triennale per la semplificazione nel settore della scuola”.
A pensarla come il Ministero sembra che siano i presidi. “È un documento costruito bene, l’ho trovato adeguato e corrispondente alla situazione scolastica”, ha detto all’Ansa Cristina Costarelli, dirigente del liceo scientifico Newton e presidente dell’Associazione nazionale presidi Roma.
Certamente, ha continuato la preside, “in linea generale la sponsorizzazione è una strada buona e non nuova. Il tema della sponsorizzazione nella scuola era già presente, infatti, a partire dal 2001″.
“In passato – ha aggiunto Costarelli – senza avere questi strumenti, ho sottoscritto piccoli contratti di sponsorizzazione di qualche migliaio di euro dati alla scuola, in cambio di spazi pubblicitari, consistenti spesso, semplicemente, nell’apposizione del logo o di locandine dell’azienda. A volte la sponsorizzazione è stata non monetizzata ma in cambio di servizi: sul diario della scuola, che veniva pagato dall’associazione, per esempio, c’erano due pagine di pubblicità della libreria del quartiere o di una agenzia immobiliare della zona”.
La preside romana ha detto anche che la sua “è stata una esperienza minimale che ha portato un minimo di contributo ma che ha anche aiutato. Le possibilità che le sponsorizzazioni aprono sono moltissime, anche se si pone un problema: l’Italia – conclude Costarelli – è molto variegata e al Nord le aziende possono sponsorizzare progetti per decine di migliaia di euro mentre al Sud nessuna realtà produttiva è in grado di farlo”.
È bene ricordare, però, che per evitare che la presenza di aziende in determinati territori crei dei contesti penalizzanti, sempre il Ministero ha creato un fondo compensativo per le aree disagiate.
“Le sponsorizzazioni da parte delle aziende nelle scuole non sono una novità ma bisognerebbe regolare la materia perchè non ci siano fughe in avanti o una forma di bassa commercializzazione”, aveva detto anche Mario Rusconi, presidente Anp di Roma.
“Le aziende che intervengono in modo positivo – spiega all’Ansa Rusconi – fanno un bene alla scuola che ha sempre necessità di fondi, dunque ben vengano, purchè ci sia un codice organizzativo ed etico delle sponsorizzazioni che sono utili ma, ripeto, vanno regolamentate: in questo senso bisogna lavorare”.
Di tutt’altro avviso si sono detti invece i sindacati: “Ci sembra che per questa strada si vogliano determinare ulteriori divisioni tra scuole e scuole oltre che tra territori, non abbiamo bisogno di questo”, sottolinea Gianna Fracassi, segretario generale della Flc Cgil.
Anche Giuseppe d’Aprile, a capo della Uil Scuola Rua, sostiene che “le scuole del Sud rischiano di soffrire molto di più di quelle del Nord, perché quando si parla di alleanze con l’impresa, quando si parla di cofinanziamenti, bisogna chiedersi dove siano, nel Sud, le imprese disposte a dare soldi alle scuole”.
Per Ivana Barbacci, numero uno della Cisl scuola, “la scuola pubblica deve essere finanziata in maniera adeguata e stabile da risorse pubbliche, poi da sempre l’autonomia scolastica consente di ricevere contributi privati per sostenere progettualità di particolare interesse, opzionali e facoltative come ampliamento dell’offerta formativa”.
Elvira Serafini, leader dello Snals Confsal teme che “le sponsorizzazioni possano determinare differenti livelli qualitativi del servizio di insegnamento in ragione dei contesti di appartenenza delle scuole, aggravando i divari tra scuole appartenenti a diversi territori e tra le diverse scuole, in relazione ai diversi livelli di interesse dei privati”.
Nei prossimi giorni cominceranno ad essere esaminati i contributi e le idee sulla materia prodotte delle scuole: già da questo primo esame si potrebbe comprendere se l’opportunità è stata colta da tutti i territori o solo da quelli dove il contesto socio-economico è più favorevole.