Politica scolastica

Sponsor nelle scuole. Quanto può essere diseducativa una réclame in aula?

L’importante è fari soldi e rendere le scuole il più possibile autonome: un vecchio adagio che prese piede durante quel lungo periodo di magra di finanziamenti dovuta ai tagli del governo Berlusconi, ministra Maria stella Gelmini e al Tesoro Giulio  Tremonti.

Da allora in poi si incominciò a parlare di sponsor nelle aule scolastiche e pure nei corridoi, gli ingressi, le palestre e dovunque i ragazzi, passando o attardandosi, potessero lasciarsi condizionare dalla pubblicità, occulta o esplicita, ma comunque da quei “consigli per gli acquisti” cari alle tv private. 

Ma non se ne fece nulla e per una serie di motivi, primo fra tutti per un principio educativo, considerato soprattutto che i maggiori consumatori di pubblicità sono proprio giovani e dunque non si può portare la pecora al lupo, a parte la specie particolare di lupo.

Col preside, cosiddetto manager, la proposta parve più vicina a essere realizzata,  considerata la sempre e costante ricerca di finanziamenti, per cui se al posto dello stato, si diceva con pragmatismo, ci fossero i privati disposti a sostenere la scuola, non ci sarebbe in fondo nulla di cui scandalizzarsi.

Passano gli anni, ma non mutano certi pensieri e sembra proprio di questi giorni l’iniziativa, da parte del ministero dell’Istruzione, di avviare le procedure per semplificare e uniformare le modalità di affidamento dei contratti di sponsorizzazione.

Nei giorni scorsi, infatti, sarebbe stata inviata alle scuole una nota nella quale si chiede di esprimere, entro il 31 maggio, “osservazioni e suggerimenti” sulla delicata materia, vale a dire se intendono avvalersi di sponsor esperti per ottenere finanziamenti da parte dei privati.

Se la reazione di alcuni sindacati non è stata favorevole, perché la scuola non può essere un nuovo “carosello” che sponsorizza prodotti commerciali,  da parte di altre entità che gravitano dentro la scuola si richiedono  tutele consistenti, a partire da un codice etico in grado di evitare forme di commercializzazione mascherate da cofinanziamenti. 

Il ministro, per suo conto, ha chiarito che “le sponsorizzazioni costituiscono, per le istituzioni scolastiche, una fonte di finanziamento aggiuntiva rispetto a quelle di natura pubblica e rappresentano un’opportunità concreta per il miglioramento dell’offerta formativa”.

Dice però la Uil: “quando si parla di alleanze con l’impresa, bisogna chiedersi dove siano, al sud, le imprese disposte a dare soldi alle scuole”.

Che alla fine, questo del reperimento delle imprese del sud dispose a finanziare le scuole, sembra un falso problema, mentre favorevole sarebbe l’Anp: “ben vengano le aziende che intervengono in modo positivo e fanno bene alla scuola, che ha sempre necessità di fondi. È necessario, tuttavia, un codice organizzativo ed etico delle sponsorizzazioni”.

Ma al di là di ogni considerazione, parere del ministro compreso, tappezzare le mura scolastiche e i corridoi, gli auditorium e le sale di cartelloni pubblicitari per raccattare qualche euro in più sembra idea stravagante, anche perché, posto pure che si stabilisse un codice etico per vietare certi articoli, comunque rimane un invito al consumo e dunque anche allo spreco e dunque a favorire certe imprese, disposte anche al “fuoribusta”. 

Pubblicità utile certamente negli aeroporti, ma mai a scuola che, qualunque accusa le si voglia attribuire, rimane sempre e comunque un luogo sacro: di studio e di riflessione; ma rappresenta soprattutto l’emanazione più diretta dello Stato, nonché l’istituzione prima con cui i ragazzi fanno i conti e che riconoscono nei suoi riti più immediati: dal registro, all’appello, alla sua organizzazione, alla valutazione, alla funzione di pubblico ufficiale del docente, ecc. Riempirla di réclame per qualche pugno di euro sembrerebbe allora una profanazione. 

Pasquale Almirante

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