La prima volta che ho visto la pubblicità “della pesca” mi sono detto: “solleverà un vespaio di polemiche”. E così è stato. In particolare mi hanno stupito alcune delle motivazioni dei “no-pesca”: “rappresenta una situazione irrealistica”, “tanto le coppie separate/divorziate non si rimettono insieme”, “si illudono ed ingannano i bambini giocando con i loro sentimenti”…
E invece alcune – seppur magari poche – situazioni di coppia critiche si risolvono. Ma da certi commenti sembra quasi che a qualcuno dispiaccia che un’unione spezzata si possa ricostituire. La mia esperienza di insegnante mi dice che un buon 30% dei miei studenti sono figli di famiglie disfatte e magari rifatte, più o meno allargate. Tant’è che quando un genitore viene a parlarmi io ormai non oso più domandare: “cosa ne dice suo marito / sua moglie della situazione di vostro figlio?”, perché spesso mi sento rispondere: “siamo separati, siamo divorziati”.
I figli ben raramente raccontano la loro situazione familiare (e lo capisco bene, sono faccende private). Eppure credo che la pubblicità della pesca, al di là dello scopo commerciale per cui è stata creata, interpreti un bisogno sociale che forse si sta facendo largo più di quanto alcuni pensino: il bisogno di una – pur relativa – stabilità, di una – pur relativa – unità.
Non mi stupisce che i creatori di questa pubblicità si siano stupiti del clamore sollevato: loro vivono a New York e si sa che secondo l’ottica americana il divorzio è un atto normale (un po’ com’era nell’antica Roma); anzi là si stupiscono se qualcuno non divorzia mai. Per questo credo che la pubblicità della pesca negli Stati Uniti non avrebbe granché successo.
Ma qui da noi siamo nel mondo latino. All’estero sanno bene che gli italiani hanno un senso spiccato della famiglia, tutti conosco la (magari un po’ stereotipata) “mammà” italiana.
Se ho visto giusto, tutto questo spiega il clamore suscita da questa pubblicità. Anche se, ovviamente, per l’azienda che l’ha commissionata, essa serve solo a fare vendere più pesche.
Daniele Orla
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