Lodevole la disponibilità del ministro Fioramonti di voler ascoltare il corpo docente, sperando che non sia un “refrain” già sentito. Intanto occorre reagire compatti contro le ricette neoliberiste.
Lodevole, dicevamo, e assai apprezzabile la disponibilità del nuovo ministro Fioramonti di voler ascoltare il corpo docente (anche attraverso il canale della stessa testata “La Tecnica della Scuola”). E’ anche vero che non ho mai sentito (mi riferisco agli ultimi decenni) un titolare del Dicastero di Viale Trastevere affermare il contrario, cioè tutti hanno detto di volersi confrontare e di ascoltare chi sul campo opera quotidianamente e poi però tutti hanno fatto lo stesso quello che avevano in mente, ignorando i consigli, i suggerimenti, gli appelli (anche accorati di chi fa una professione che andrebbe riconosciuta come usurante e a rischio costante di burnout, come da anni ripete, purtroppo inascoltato, l’illustre medico Vittorio Lodolo D’Oria, e ormai anche a rischio… fisico, come evidenziato dai tanti episodi di aggressioni, non solo verbali, di alunni e/o genitori!).
Anzi, c’è stato anche qualche ministro o presidente del Consiglio che ha fatto intendere che le sue ricette erano ottime (nonostante le critiche e qualche sciopero ben riuscito, cosa che ormai avviene assai raramente, grazie anche alla scarsa rappresentatività dei sindacati, anche loro alquanto “timidi” in questi ultimi decenni, e non solo nel comparto istruzione) ed erano gli insegnanti “colpevoli” di non averle capite. Docenti che non hanno bisogno di altre “riforme epocali” ma di stabilità e serenità, per svolgere il compito a cui sono chiamati: insegnare, in una scuola che formi i cittadini (pensanti) del domani.
E quanti luoghi comuni sui docenti e sul loro lavoro, luoghi comuni costruiti ad arte (con la complicità di certi mass media che spesso non sanno in realtà nulla dei delicati meccanismi del sistema scolastico) per giustificare tagli agli organici, riduzione dei diritti, persino vessazioni nei confronti di chi svolge un lavoro e un ruolo (quello di insegnanti ed educatori) che di conseguenza ha perso prestigio e persino dignità.
Un po’ di responsabilità è da attribuire anche ai docenti, perché forse avrebbero dovuto reagire, di fronte a tali attacchi e a rappresentanze sindacali diciamo “dormienti” (poi si chiedono perché perdono iscritti e magari anche credibilità), in modo più deciso. Ma se molti insegnanti forse non sono propriamente dei “leoni” certamente hanno una memoria da “elefante”: puntualmente quando si va a votare si ricordano di quello che aveva promesso chi governava e non ha mantenuto, delle riforme penalizzanti, delle “bufale” condite da epiteti contro gli stessi docenti; e la scuola con il suo ampio bacino elettorale ha spesso “punito” partiti e/o singoli politici e ministri costretti a farsi da parte (…dal “concorsone” in poi!).
Gli attacchi contro la scuola e contro i docenti hanno trovato terreno fertile con l’esplosione del “neoliberismo”. Quello che in suo recente articolo, che invito a leggere chi non lo avesse ancora fatto (https://www.tecnicadellascuola.it/la-pesantezza-della-condizione-docente-cambiare-si-puo-a-patto-di-svegliarsi ), Alvaro Belardinelli definisce appropriatamente “neoliberismo reale”. Nell’articolo citato Belardinelli evidenzia in modo sintetico ma efficace ed esaustivo ciò che è avvenuto negli ultimi decenni nell’ottica aggiungo io della strategia del “dividi et impera”. Tanti luoghi comuni, tante manipolazioni della realtà, tante pressioni e insulti alla classe docente (in generale ai diritti e alle condizioni di tutti i lavoratori, ma per quelli della scuola l’accanimento è stato da podio, quasi… “ammirevole”!). Tra i luoghi comuni citati nel pezzo c’è quello del “vergogna il posto fisso”, io avrei anche fatto notare che quando era premier (non certamente rimpianto), Mario Monti disse rivolto ai giovani una frase che a mia memoria suona così: “che noia il posto fisso”, ma che non ha rinunciato alla carica di senatore a vita (chissà che noia!!), alla quale peraltro era stato designato non si sa bene per quale merito, visto che ancora non era stato neppure presidente del Consiglio (e che comunque per come ha svolto quell’incarico non avrebbe poi di certo meritato, a mio modestissimo parere).
Belardinelli dice che di fronte allo smarrimento e alla depressione scaturiti dopo l’uragano neoliberista bisogna reagire (perché non si può sperare che il cambiamento venga dall’alto, da chi ha interesse a perpetuare lo status quo e i privilegi o a peggiorare ancora, per proprio interesse, la condizione dei lavoratori), e che ciò è non solo utile (necessario) ma anche “terapeutico”.
Come ho scritto tempo fa in un articolo in cui citavo anche l’economista Paul Krugman, cui è stato assegnato nel 2008 il Premio Nobel per l’economia (un articolo che non ebbe molte attestazioni di apprezzamento: peccato, non vorrei dover pensare dopo oltre un quarto di secolo che mi occupo come giornalista di scuola – e università – che la maggior parte della classe docente è interessata solo quando si incita magari ad un aumento di 20/30 euro in busta paga; peccato, perché in quell’articolo si parlava di diritti e di futuro, compreso quello di poter andare in pensione a una età ragionevole che non è certo quella della legge Fornero, ma questo deve valere anche per il futuro, possibilmente attraverso scelte libere da parte dei lavoratori, scelte che prevedano al limite qualche forma di “penalizzazione” in uscita), l’ideologia neoliberista è molto forte perché controlla, a vantaggio di pochi e facendo pagare la crisi a tutti gli altri, i meccanismi finanziari. E purtroppo le politiche in questi ultimi decenni sono state pesantemente sottomesse ai “poteri forti”, prendendo con arroganza decisioni impopolari.
Ma si fa strada, in un’ottica diremmo keynesiana, l’idea di alternative possibili (quasi sempre però censurate dall’informazione di regime), che nella fase attuale dovrebbero compattarsi per contrastare un sistema che ha determinato pesanti crisi economiche (poi fatte pagare ingiustamente alle fasce sociali medio-basse, con politiche di “austerity”), scandali finanziari e diseguaglianze sempre più marcate.
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