Molti pensano che la domanda “Come vai a scuola?” vada modificata con la formula “Come stai a scuola?”, in modo da dare centralità al “benessere” dello studente; analogamente bisognerebbe riflettere sulla risposta da dare ai genitori che, nel corso degli incontri “scuola-famiglia” per le valutazioni trimestrali o quadrimestrali, chiedono : “Mio figlio come va?”
La domanda è pensata bene, anche se viene formulata male. I nostri nonni dicevano: “Vai a scola ca t’ansignuno adducazione”. Il termine “educazione”, anche nella colorita espressione dialettale, voleva significare non soltanto il buon comportamento, ma faceva prevedere la crescita, lo sviluppo delle competenze, un reale riscatto sociale in vista della professione da svolgere al termine degli studi.
Se la risposta del docente viene formulata con l’espressione: “Va bene. Ha preso 7 – 8 . Ha fatto un buon compito, una buona interrogazione” oppure “Deve riparare in matematica, deve studiare meglio l’inglese o le scienze”, il messaggio che arriva alla famiglia è un rinforzo dell’idea che la scuola sia soltanto istruzione, contenuti, conoscenze, materie e compiti.
Se la comunicazione è trasmissione di idee e di pensieri, questo è quello che il docente pensa e comunica ai genitori.
La duplice connotazione della scuola, luogo privilegiato di istruzione e di formazione, non si evince nelle risposte dirette date ai genitori.
Dov’è la dimensione formativa e orientativa della scuola se alla mamma dell’alunna brava viene risposto: “Per sua figlia tutto ok, non c’è niente da dire, se ne può andare”?
Il dialogo educativo scuola-famiglia necessita di una radicale modifica di linguaggio e di comunicazione. La risposta pedagogica che il docente educatore dà ai genitori coinvolgendoli nel percorso formativo dovrebbe riguardare la descrizione del processo di crescita dello studente: “Suo figlio sta crescendo, Ha conseguito questi traguardi, ha migliorato questi aspetti del suo carattere, ha bisogno di…..”
Con questa espressione “pensata per lui, per lei” si offre ai genitori, i quali hanno formulato male la domanda, pensata bene, il docente manifesta la vera idea di scuola, esplicitandone le finalità formative e qualifica in tal modo la sua professione di “educatore”, attento alla crescita armonica e integrale dello studente.
Ricordo il grido angosciante di una mamma che, durante un incontro di valutazione intermedia, alla professoressa che cercava il compito di latino da mostrare per indicare gli errori commessi ha risposto urlando: “Non mi interessa il voto del compito di latino, mio figlio si droga, frequenta una brutta compagnia e chiedo a voi aiuto per salvarlo e riportarlo sulla buona strada”.
E’ desiderio di ogni genitore il miglior bene per il proprio figlio e non solo la promozione ed il successo scolastico, ma essenzialmente il successo formativo , lo sviluppo delle competenze, in vista della realizzazione del personale progetto di vita e del domani professionale.
La relazione educativa che costituisce una delle connotazioni essenziali della scuola , intesa come “atto intenzionale” offre la garanzia della crescita della persona.
Nella relazione docente-studente, con la risposta alla domanda: “Come stai?” si apre il dialogo e la comunicazione nella prospettiva del futuro ed emergono dubbi, perplessità, bisogni ai quali occorre dare risposta nella “scuola per ciascuno”.
Nell’incontro con i genitori, la relazione educativa si orienta verso la convergente ricerca del vero bene del figlio-studente, e non solo della promozione.
“Star bene a scuola, Star bene con se stessi, Star bene con le istituzioni”, slogan del “Progetto giovani 93” , promosso da Luciano Corradini, che ha dato vita al “Progetto Ragazzi 2000”, dopo trent’anni è ancora vivo e attuale,