Come annunciato nei giorni scorsi, arriva il contratto apripista per 250mila statali, sulla base degli 85 euro pattuiti 13 mesi fa a Palazzo Vidoni: gli aumenti dello stipendio base vanno però dai 63 ai 117 euro lordi al mese, con gli incrementi maggiori destinati a chi guadagna meno.
Sempre chi ha compensi ridotti, da marzo, potrà contare anche su un’extra. Arrivano pure nuove regole sui licenziamenti, in particolare a seguito di più assenze ingiustificate, oltre che su molestie e conflitti di interessi.
L’accordo tra sindacati e Aran è giunto al termine di una riunione no-stop, con le firme sottoscritte alle 4 di mattina el 23 dicembre.
È una sigla attesa “da un decennio”, ha detto il premier Paolo Gentiloni. Segno che l”Italia merita fiducia”, scrive su Twitter. Soddisfazione anche dalla ministra della P.a, Marianna Madia: “Impegno mantenuto”.
Tra i commenti entusiasti c’è anche quello dell’ex premier Matteo Renzi: “Stanotte si è chiuso il primo accordo, quello sulle amministrazioni centrali. Adesso in rapida successione andranno in porto anche quelli sulla scuola, sulla sanità e sugli Enti Locali. Le risorse, faticosamente trovate in questi anni, sbloccano i contratti dopo 10 anni. Perché i politici che governano si dividono tra chi i contratti li blocca per anni e chi li rinnova come succede nei paesi normali. Noi apparteniamo alla seconda categoria”.
Reazioni alterne tra i sindacati. “Più diritti, più contrattazione, più salario”, digita la leader della Cgil, Suanna Camusso. E’ stata restituita “dignità” ai lavoratori del pubblico, dice Annamaria Furlan, numero uno Cisl. La Uil, con il segretario confederale Antonio Foccillo, reputa l’accordo “un atto di responsabilità”. “Un traguardo per tanti lavoratori”, commenta Massimo Battaglia della Confsal Unsa. Ma c’è anche chi non ha sottoscritto. Hanno detto no l’Usb, la Cisal e la Cgs, bollando l’accordo come “un amaro regalo di Natale”.
Il via libera per ora vale solo per i ministeriali, dipendenti delle agenzie fiscali ed enti pubblici non economici. Ma la portata si estende a tutto il pubblico impiego, fatto di oltre tre milioni di lavoratori. Si tratta infatti di un contratto “apripista” che detterà la linea anche per gli altri comparti.
Per la scuola, però, rimangono da superare diversi scogli: come abbiamo già scritto, va garantito l’aumento di 85 euro medi mensili per le lavoratrici e i lavoratori del comparto; vanno ricondotte nel CCNL delle risorse economiche stanziate dalla legge 107/15 (bonus premiale e Carta del docente); va riportata nel CCNL di ogni altra materia che le leggi hanno sottratto alla contrattazione così come definito nell’Accordo di Palazzo Vidoni del novembre 2016.
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