Le famiglie e gli studenti italiani spesso si lamentano per il caro-rette universitarie. Senza entrare nel merito della qualità della didattica e delle competenze acquisite, farebbero bene ogni tanto a guardare anche all’estero. Soprattutto agli Stati Uniti, dove in media, il costo di un college pubblico per un corso di quattro anni costa intorno ai 6.000 dollari, mentre i privati si aggirano attorno alla quota di 20.000 dollari l’anno.
A fornire la lista campus più cari del Paese e di quelli meno dispendiosi e stato il dipartimento dell’Educazione degli Stati Uniti, che ha pubblicato su internet l’elenco dei costi d’accesso alle università a stelle e strisce.
Scorrendo i nominativi, si scopre che la University of New Hampshire-Main Campus in New Hampshire è il college pubblico con la quota più alta, 12.743 dollari, mentre quello più economico è Haskell Indian Nations University in Kansas a soli 430 dollari. Decisamente più onerose le rette per accedere e frequentare i college privati: in questo comparto, le tasse più alte si aggirano intorno ai 50.000 dollari, come il Bates College in Maine e il Brooks Institute in California, sopra i 51.000. Mentre quelli meno cari sono il Berea College in Kentucky e l’Edp College of Puerto Rico, che costa 5.100 dollari.
La pubblicazione dei costi d’iscrizione universitaria sembra voler dare una risposta anche ai tanti statunitensi che dicono di non farcela più a mantenere i figli nei college: gli istituti pubblici, da sempre i più frequentati dagli studenti americani, stanno diventando infatti sempre meno accessibili per la famiglie, dal 1999 al 2009, le tasse per essere iscritto a un corso di due anni sono aumentate del 71 per cento, mentre le entrate dei nuclei familiari sono diminuite del 4,9 per cento, secondo il National Center for Public Policy and Higher Education.
Sarà una magra consolazione, ma sempre più spesso anche dall’altra parte dell’Oceano i problemi di fondo delle famiglie e dell’istruzione non sembrano molto distanti dai nostri. I sociologi ci dicono che è frutto della cosiddetta “globalizzazione”. L’uomo della strada la chiama semplicemente “crisi mondiale”.