Si parla di “semplificazione” e di passaggio da un sistema scolastico strutturato secondo la riforma Gentile a un susseguirsi di interventi normativi che negli ultimi anni hanno portato ad un accavallamento di riforme.
“La parola che ho messo al centro è proprio “giungla normativa”. Questa giungla si è sedimentata negli anni e non sempre è frutto di una rivisitazione politica ma talvolta è solo un accanimento terapeutico sulle procedure. Accanimento – continua – che costringe a perdere di vista invece la valutazione dei risultati. Quindi “semplificazione” è l’unica parola che sceglierei per ispirare l’azione politica di questo Ministero in tutti i settori: scuola, università e ricerca”.
Altro tema: Invalsi. Per Giannini è uno strumento utile per valutare sia il livello di preparazione degli studenti che il lavoro dei professori. “A scuola si fanno due cose fondamentali, si insegna e si impara. La valutazione degli alunni è lo strumento indiretto ma anche molto naturale ed efficace per valutare il lavoro dei professori. Se voglio capire se un insegnante insegna bene, devo vedere come imparano gli studenti. È un principio banale, però va applicato. E qualche volta il sistema resiste. E resiste, non perché i professori non si vogliano fare valutare, resiste perché c’è una cultura della non-valutazione colpevole di aver cagionato un appiattimento del ruolo dell’insegnante. Se oggi un ragazzo è molto bravo negli studi, raramente pensa di fare l’insegnante. E questo, non perché l’insegnamento non appassioni, ma perché questo ruolo è ormai categorizzato nella nostra società come un ruolo di serie B. E questo va ribaltato perché è invece un ruolo fondamentale per la crescita della nostra società. E come si fa? Si restituiscono alla scuola quegli strumenti che altri Paesi hanno: autonomia, responsabilità, valutazione; è un triangolo che consente di riportare il ruolo dell’insegnate allo stesso livello del ruolo di altre, importanti e dignitosissime, figure dirigenziali dello Stato”.
C’è pure una riflessione della ministra sull’educazione civica: “Ci devono essere due momenti distinti uno è quello dottrinale, i ragazzi italiani escono dalla scuola senza avere una minima introduzione efficace a contenuti istituzionali di base. Non studiano la forma dello stato, non studiano la costituzione nella sua architettura tematica. Il tutto è affidato a una preparazione o individuale o spontaneistica o di contesto, che non tutti i ragazzi hanno. E questa è la prima parte che va reintrodotta in forme moderne. L’altro momento riguarda il contesto, cioè abituarsi all’idea di come si deve essere cittadini, introdurre una cultura dei comportanti che nel contesto sociale si devono tenere. E forse questa è un’emergenza italiana. La forma del rispetto istituzionale, che è venuta meno, è un campanello d’allarme che ci arriva da tanti insegnanti e che deve essere ripristinata. Questo non si fa con l’ora di educazione civica ma con una serie di strumenti che sono, sì dentro la scuola, ma anche all’esterno. C’è un aspetto educativo che fa parte della famiglia, ed è un circuito virtuoso che va ripristinato. Credo che anche la Rai potrebbe fare molto in questo senso”.