Una storia molto triste che vede come protagonista un ragazzo di 26 anni, Stefano Voltolina, che si è suicidato in carcere a Padova. Una sua ex docente della scuola media ha scritto una lettera rivolta a lui dopo aver sentito la terribile notizia inviata all’associazione “Ristretti Orizzonti”, pubblicata su Il Corriere della Sera.
Il ragazzo era arrivato nel carcere di Padova nel 2023, in agosto, con un trasferimento da un altro carcere per scontare una pena per violenza sessuale. Ci sarebbe rimasto fino al 2028. Era già seguito dai medici per una grave forma di depressione.
Ecco le parole della docente che faceva la volontaria nella biblioteca del carcere: “L’ultima volta che l’ho intravisto, era lui, camminava mestamente davanti a me nel corridoio con un agente, ma quando sono arrivata davanti al cancello erano spariti. L’avevo riconosciuto dalla camminata e dalla figura, piuttosto massiccia”.
“Mi aveva fatto tornare in mente un mio alunno delle medie di tanti anni prima. Poi qualche frase e ci siamo riconosciuti. ‘Prof, ma aveva i capelli lunghi e biondi…’ Già, e lui era un ragazzino molto speciale. Ci era capitato tra capo e collo all’inizio dell’anno, affidato a una casa famiglia, la scuola media dove inserirlo era la nostra. Alla prima riunione con l’équipe mi ero veramente arrabbiata: come potevano immaginare che saremmo stati in grado di gestire un caso così impegnativo… Mai frequentato regolarmente la scuola, nessuna idea di cosa fosse un qualsivoglia regolamento”.
“Eppure… Anch’io sono scappata da scuola in seconda elementare, forse qualcosa mi avvicinava a lui, o era lui a farsi benvolere. E’ stato mio alunno per due anni, prima e seconda media, alla fine ce l’avevamo quasi fatta. Certo, ogni tanto usciva dalla classe e allora… inseguimenti per i corridoi e le scale, molto pericoloso, ma i ragazzi non si sono mai divertiti tanto. Decidemmo di essere sempre in due, per non dover abbandonare lui o gli altri; il preside stava in classe con noi nelle ore senza insegnante di sostegno. Poi l’abbiamo bocciato, devo dire così perché il voto è di maggioranza, ma ovviamente non ero d’accordo”.
Così l’anno dopo lui aveva perso i compagni, che nel frattempo gli si erano affezionati, e gran parte degli insegnanti. Un giorno, durante una lezione, vedo i ragazzi di fronte a me irrigidirsi e guardarmi con occhi spalancati. ‘Ragazzi, che cosa succede?’ ‘Prof, c’è Stefano…’ Seguo i loro sguardi e lo vedo, fuori dalla finestra, sul cornicione che collegava tutto il primo piano della facciata. Era venuto a salutarci, uscendo dalla finestra della sua aula e raggiungendo la nostra, ci sorrideva, questo era Stefano. Ma chi era Stefano? Spesso mi aveva parlato di sé e della sua famiglia, veniva da Chioggia, suo padre pescatore. ‘Prof, ma non sa cosa sono le tegnue?’ (le barriere coralline dell’alto Adriatico, ndr). Il suo mondo erano il mare e un cantiere di sfasciacarrozze dove passava le giornate con una banda di ragazzini, invece di andare a scuola. Lui sapeva più di me, senza dubbio. Scriveva bene, era sveglio, curioso, buono, si può dire?”.
“Ho conosciuto la madre e il padre, gli volevano bene, non ce la facevano a stargli dietro, non ricordo quanti figli avessero. Mi diceva ‘Non vedo l’ora di avere diciotto anni’ ‘E cosa farai?’ Rideva ‘Torno a Chioggia’. Con i miei alunni avevamo un’abitudine, se avevano trovato un libro interessante potevano consigliarlo a me e ai compagni. A Stefano avevano regalato l’autobiografia di una velista che a diciotto anni aveva circumnavigato in solitario, vincendo la competizione. Non so se l’avesse letta davvero, ma me la portò. Ero scettica, ma la lessi e mi piacque molto”.
“Ecco, in mezzo ai libri ci siamo ritrovati, per poco. Tre volte è sceso in biblioteca durante il mio turno: abbiamo parlato dei suoi progetti, la musica, la scrittura. Il secondo giovedì si interessò al concorso di poesia che stava per scadere; riuscimmo a spedire per il rotto della cuffia una poesia dedicata a una ragazza. Il ritmo era giusto, diedi solo qualche aggiustatina con il suo consenso, spero si possa recuperare. Il terzo giovedì mi portò tre fogli scritti a mano, con riflessioni filosofiche (se non sbaglio la settimana prima aveva preso un testo di Nietzsche): volle che le leggessi insieme a lui, lo facemmo. Gli chiesi spiegazioni di varie espressioni, e lui mi diede le sue risposte. Stamattina, riguardando i fogli che lui insistette per lasciarmi, con mio marito concordammo che erano un collage di frasi selezionate da testi filosofici, quelle che lo avevano colpito, credo, in cui si riconosceva”.
“Ci lasciammo con un piccolo progetto di lavoro a tre: Tiziano avrebbe raccontato le sue storie, Stefano le avrebbe scritte (‘Io non me la sento di raccontare la mia storia’, ‘Ma non ti preoccupare, tu scriverai le storie che Tiziano racconta’, ‘Allora ok’), io avrei fatto il mio mestiere di correttrice. Mi piaceva, apriva una prospettiva diversa anche al mio ruolo lì dentro. Non l’ho più rivisto. Cosa posso dire adesso? Abbiamo fallito, come altre volte. Facciamo almeno qualcosa per non dimenticarcelo, il nostro fallimento. Di lui, di Stefano, io non mi potrò mai dimenticare”, ha concluso.
Abbiamo parlato di fallimento della comunità educante a fine di agosto scorso, quando la docente Giovanna Corrao ha detto, all’indomani della notizia dello stupro di Palermo, ha pubblicato un video su Facebook che è diventato virale.
“Sono molto delusa da come vanno le cose nei giovani. Ho l’obbligo, visto che sono un’insegnante, di fare un appello a tutti i genitori, mi ci metto anche io. Dobbiamo essere caricati a pallettoni, avere energie da spendere, da dare, per educare. Non sono energie a fondo perduto. Ho l’obbligo di dirvi la verità in faccia, visto che siete disabituati alla verità e talmente assueffatti all’ipocrisi che la verità non la volete sentire nemmeno dalla vostra coscienza”.
“Siete un branco di falliti, siamo un branco di falliti. I nostri figli violentano le ragazzine, qualcosa è andato male negli anni. Inutile che dite che non riguarda i vostri figli. No, tu tuo figlio non lo conosci. Inutile che ti offendi, lo dico per aprirti gli occhi. La violenza sta anche nel fatto che molti ragazzi sono convinti di fare delle bravate e in quanto giovani possono fare ciò che vogliono”.
“Siamo in emergenza sociale: e ciò non riguarda il caro benzina o il reddito di cittadinanza, è un’emergenza educativa. Se succedono questi episodi tutti siamo falliti. Non funzioni come padre, come madre, come struttura sociale. Siamo falliti. Se non condividete siete corresponsabili di tutti quei genitori ed educatori che preferiscono girarsi dall’altra parte perché il problema non è il loro”.
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