Sul Giornale c’è spazio per la riflessione di Stefano Zecchi, scrittore e professore di estetica. Zecchi parla di lavoro e tempo libero con interessanti asserzioni sulla vita contemporanea
“Si dovrebbe lavorare poco è bene. ‘Poco’ non vuol dire lo stretto necessario, ma significa comprendere quanto il tempo di lavoro entri in sintonia con i nostri sentimenti, con la nostra visione della vita”.
“Lo stacanovista, colui che lavorerebbe ventisette ore – se ci fossero – non a caso è una figura inventata dal totalitarismo che annulla l’individuo nel nome della collettività, attraverso l’eccesso di lavoro fatto nel nome della società.
Ma anche il lavorare in modo esasperato per se stesso – eventualmente con alcune giustificazioni, per esempio nel nome della famiglia – è un’altra forma di alienazione che distrugge l’anima di una persona”.
“Lavorare poco è bene. “Bene” significa fare le cose con intelligenza e passione e poi saper staccare la spina, appunto perché è la vita a richiederlo. Si possono così curare i propri interessi, anche quelli che talvolta con una malcelata sufficienza si chiamano hobby, si sta in famiglia e si cerca di conoscere i propri figli, ci si libera dall’ossessione della prestazione lavorativa, dalla competitività, dall’angoscia di non essere all’altezza del proprio lavoro. Una pausa per amore della vita.
Una persona adulta, se lavora oltre misura, rimbambisce, e non va bene né per lui né per chi lavora”.
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