“Stiamo chiedendo agli adolescenti di crescersi da soli”

Disagio diffuso, psicopatologie in aumento, boom di ricoveri: sono i dati diffusi dal reparto di Neuropsichiatria infantile del Regina Margherita di Torino e messi in linea dal sito del Redattore Sociale. 
Dati che raccontano di un malessere quasi epidemico, che starebbe colpendo il 7 per cento degli adolescenti piemontesi, una percentuale che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, potrebbe presto salire fini al 12%. L’occasione è stata un convegno indetto dagli stessi responsabili del reparto, per il rilancio del progetto “Un ponte tra l’ospedale e il territorio”, creato insieme agli operatori di Casa Oz per offrire “uno spazio protetto per il reinserimento nella vita ordinaria” ai ragazzi in fase di dimissione dopo un ricovero. 
Da gennaio del 2013 a oggi più di 90 ragazzi tra i 12 e i 15 anni, sono stati ricoverati in urgenza in seguito a crolli nervosi, tentativi di suicidio o episodi di autolesionismo. La media è di 60 ricoveri l’anno, ma nei soli primi tre mesi del 2014 l’asticella ha già sfondato la soglia dei 30 interventi. 
“Oltre la metà di questi ragazzi finisce per rimanere in reparto per periodi prolungati, che vanno dai 3 mesi in su”, spiega la neuropsichiatra, “di qui, l’esigenza di creare un programma che faccia da collegamento tra il percorso in ospedale, la scuola e la realtà esterna”. 
“A preoccupare è soprattutto la crescita dei tentativi di suicidio, che nel Pronto soccorso di Torino arrivano fino a due casi a settimana”. 
Cosa può aver innescato questo proliferare di malessere patologico tra i nostri adolescenti? 
Secondo degli psicanalisti la causa è da individuare “in una forma generalizzata di imbarbarimento sociale, caratterizzata soprattutto dalla frattura generazionale e dalla maleducazione diffusa, intesa soprattutto come incapacità di convivenza, di solidarietà, di legalità”. 
“La relazione affettiva profonda – spiega lo psicanalista – è il grande assente della società ipermoderna. I ragazzi, in preda a un malessere che definirei ‘dolore generazionale’, si sono come rassegnati a fare a meno degli adulti e della stessa adultità come modello di riferimento, per rivolgersi esclusivamente ai coetanei come unici rappresentati della comunità sociale. La cosiddetta ‘neet-generation’ è la prima in assoluto alla quale viene chiesto di crescersi da sola”. 
“Mentre il prolungamento della fase dell’adolescenza sembra produrre un’adolescentizzazione della società”, proprio agli adolescenti, immersi in una realtà virtuale “che più che formare, informa”, è negato il percorso stesso che dovrebbe portarli a formare il proprio sé. 
“Uno dei motivi più frequenti di questo fallimento è l’impossibilità di accedere all’esperienza dell’altro, l’assenza di quell’esperienza vivificante che è costituita dal gruppo dei pari. In questo senso, i social network non sono da considerare nemmeno come un surrogato di quel piccolo gruppo affettivo con il quale condividere la fatica di crescere”. 
“Quando il processo di soggettivazione è ostacolato da traumi, abbandoni o deprivazioni infantili, è molto più facile che il ragazzo si isoli o rimanga imbrigliato in quella forma di socialità primitiva costituita dall’appartenenza al branco. Parafrasando Freud, mentre un tempo il disagio della civiltà produceva nevrosi, oggi siamo di fronte a un disagio dell’inciviltà, che produce patologie narcisistiche”. 
“A dodici anni le adolescenti fanno le cubiste e trescano (ovvero hanno rapporti sessuali senza alcun coinvolgimento emotivo) abitualmente coi “gestori” delle discoteche; i quali sono adolescenti solo un po’ più grandi, d’età compresa tra i 16 e i 18 anni. In questo clima, le violenze sessuali sugli adolescenti, maschi o femmine, a partire dagli adescamenti in rete, sono aumentati del 20 per cento negli ultimi due anni. Contemporaneamente, in Italia crescono sempre più le gravidanze in età adolescenziale, che oggi si attestano tra le 10 e le 11mila l’anno”. 
“Gli adolescenti”, viene spiegato, “con i loro atteggiamenti ci chiedono dei limiti. Esplorano la realtà in cerca di confini; e spesso le figure di riferimento, genitori come insegnanti, non si rendono conto che l’assenza di questi limiti può portare i giovani a ripiegarsi su se stessi”. Il disconoscimento del ruolo dell’adulto, infatti, a differenza della tipica ‘ribellione’ adolescenziale, è per i ragazzi “un’esperienza dolorosa” 

Pasquale Almirante

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