A parte la boutade delle gabbie salariali ai docenti, per cui quelli del nord dovrebbero avere uno stipendio superiore perché la vita da quelle parti è più cara, la Fondazione Agnelli ha invece messo il dito sulla vera piaga della retribuzione dei prof: remunerare di più chi ha più lavoro, più impegno, più responsabilità a scuola.
Dice Gavosto: “L’Italia è l’unico grande paese del Vecchio continente dove sono contrattualizzate solo le ore di lezione in classe, mentre tutte le altre attività didattiche e di programmazione sono lasciate alla discrezione e al senso del dovere del singolo”.
E il riferimento sembra chiaro perché appare poco comprensibile il fatto che un docente di lettere, che ha da preparare, per ogni quadrimestre, quattro compiti scritti per classe, poi somministrarli, poi correggerli, perdendo in media da 15 ai 20 minuti a compito (e se ha tre classi con 30 alunni ciascuna quante ore avrà occupate togliendole al suo tempo?), e poi avere nel registro altrettante interrogazioni orali, deve percepire a fine mese la stessa somma, a parità di anzianità, del collega che ha solo una materia orale.
Da qualunque angolazione si gira, correggere un compito di italiano di una quinta liceo comporta la perdita di almeno mezz’ora per compito: lavoro che nessuno riconosce ma che viene tuttavia impiegato.
Un controsenso che non fa bene al cosiddetto merito.
A parte ancora il carico di responsabilità nel giudizio, dovendo mediare fra scritto e orale; anche in questo c’è un aggravio di lavoro straordinario, a casa e a scuola, che però il ministero non distingue. Come non distingue tutte quelle discipline nelle quali sono previsti scritti e orali, con doppio giudizio e doppio lavoro.
Né è più ancora sostenibile l’idea della parità della funzione docente, per dare salari uguali per tutti. Responsabilità maggiori richiedono competenze diverse e più complesse, e dunque riconoscimenti salariali adeguati, che non hanno nulla da spartire con le gabbie o i gabbiotti.
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