Dare ai docenti aumenti più sostanziosi, utilizzando il bonus per l’aggiornamento da 500 euro e i fondi per la valorizzazione del merito, legati alle loro singole performance professionali.
Sarebbe dunque questo il piano, in base alle fonti della Tecnica della Scuola, escogitato da almeno una parte dei sindacati rappresentativi, i quali dopo l’estate, appena sottoscritto l’Atto di indirizzo per il rinnovo del pubblico impiego, si siederanno al tavolo con la ministra Valeria Fedeli per definire il quantum da assegnare ad ogni insegnante dopo otto anni di blocco stipendiale.
La decisione di tali sindacati, a ben vedere, potrebbe essere più che comprensibile: non essendovi fondi e finanziamenti pubblici ulteriori agli 85 euro lordi medi, tra l’altro ancora in larga parte da finanziare con la Legge di Bilancio di fine 2017, diventerebbe giocoforza accontentarsi di quello che già c’è. Distribuendo dunque in modo diverso le somme già finanziate per la stessa categoria professionale.
Solo che sia il bonus da 500 euro dell’aggiornamento (assegnati a tutti i docenti di ruolo), sia i circa 700-800 euro medi (assegnati in media ad un insegnante su tre), sono stati introdotti con la Legge 107/2015, attraverso i commi 121 e 126 dell’unico articolo, per ben altre necessità.
I 200 milioni complessivi annui del merito avrebbero dovuto dare linfa al mai applicato merito professionale approvato nel 2009 con la riforma Brunetta della PA (decreto legislativo n. 150/09) e confermato anche dalla stessa riforma Madia.
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Stesso discorso per i 400 milioni destinati ogni anno all’aggiornamento: tramite l’attuale “borsellino elettronico”, avrebbero dovuto sostenere i docenti per affrontare i nuovi percorsi formativi obbligatori e permanenti che la stessa Buona Scuola ha introdotto.
Mutare in corso d’opera la destinazione d’utilizzo di entrambi i fondi, quindi, significherebbe abbattere due assi portanti della Legge 107/15. Per questo motivo, l’ipotesi, sebbene lo scopo sia ritenuto probabilmente nobile anche dalla ministra Fedeli, la quale da mesi auspica aumenti maggiori per il corpo docente italiano, non dovrebbe trovare terreno fertile in chi amministra oggi la scuola.
A nostro modesto parere, infatti, dire sì ad una proposta del genere, avrebbe il sapore di una vera resa incondizionata da parte dei rappresentanti del Miur, ma anche del Governo, verso chi da ormai tre anni sostiene che la Buona Scuola è piena di errori strategici e tecnici. E siccome l’ipotesi sarà messa al vaglio del Miur nelle prossime settimane, l’esito non dovrebbe essere positivo.
Il discorso cambierebbe, ovviamente, se la controparte che amministra la scuola fosse composta da un altro Governo, quindi non più da una maggioranza PD. Ma in questo caso i tempi si allungherebbero e probabilmente i sospirati aumenti arriverebbero con un anno di ritardo, quindi solo nel 2019.
Senza contare che, poi, gli stessi insegnanti si dovranno pure sobbarcare di tasca propria le spese per la formazione obbligatoria. E si renderanno conto che parte del sospirato aumento di stipendio è stato solo un cambio di destinazione d’uso di soldi comunque da spendere. E non da trattenere per sé. Insomma, poco più di un… travaso.
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