Non ci sono buone nuove per il rinnovo del contratto dei docenti e degli Ata, come pure per tutto il pubblico impiego.
Tra poche ore, infatti, come abbiamo annunciato con un altro nostro articolo, il ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, incontrerà i sindacati per verificare la disponibilità a trattare sulle nuove regole in vista testo unico sul pubblico impiego.
L’incontro, che si svolgerà al ministero che decide le sorti della P.A., sarà propedeutico alla costituzione dell’atto di indirizzo che dovrà dare l’input alla trattativa sul rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici: servirà a “sondare – scrive l’Adnkronos – gli umori dei sindacati e capire quali possono essere i margini di manovra a cominciare dal nodo risorse, che sono poche (solo 300 milioni) e sulla cui distribuzione il ministro, lo ha detto più volte, intende adottare un meccanismo di gradualità, dando la priorità ai redditi più bassi (la cui soglia potrebbe essere al di sotto dei 26 mila euro) ed escludendo i redditi più alti”.
Questo significa che la platea di beneficiari degli aumenti, sempre a livello di intera pubblica amministrazione, sarà all’incirca “di soli 800 mila dipendenti (il popolo degli 80 euro) a fronte degli oltre 3 milioni di statali”. In pratica, per attingere all’incremento, bisognerà avere un compenso annuo probabilmente inferiore ai 26mila euro lordi.
Nella scuola, per intenderci, per quanto riguarda il personale di ruolo a beneficiare degli aumenti sarebbero la maggior parte degli Ata (visto che la media dei compensi annui si attesta sui 22-23mila euro annui) e i docenti ad inizio carriera. Mentre coloro che in busta paga percepiscono dai 1.400-1.500 euro netti in su, rimarrebbero fuori.
Ora, è vero che “le risorse tuttavia potrebbero aumentare, con un nuovo plafond – scrive ancora l’agenzia di stampa – nella prossima legge di stabilità che si discuterà in autunno e che, complice anche l’imminenza del referendum costituzionale, avrà un grande valore politico per il governo”.
Ma il confronto del 26 luglio servirà probabilmente anche per capire le posizioni, pubblica e sindacale, su “un’altra spinosa questione che riguarda la contrattazione di secondo livello, ovvero i premi di produttività che, secondo la legge 150 (Riforma Brunetta) in vigore, prevede compensi aggiuntivi solo per il 25% degli impiegati, un altro smacco, dopo sei anni di blocco, difficile da digerire per i sindacati”.
La scuola, però, potrebbe già aver anticipato quest’ultimo passaggio. Perchè con la Legge 107/2015 sono stati stanziati 200 milioni di euro l’anno (tra i 20mila e 25mila euro ad istituto) che, a detta del Miur, dovrebbero andare ad un numero né troppo esiguo né troppo alto di insegnanti: il 25% di beneficiari, guarda caso, sarebbe un percentuale perfetta!
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