La condizione economica, l’aumento dei prezzi e La difficile condizione economica, l’aumento dei prezzi e delle bollette, le incerte situazioni lavorative, la salute fisica, l’organizzazione difficoltosa famiglia-lavoro, la guerra in Ucraina.Sono diversi i motivi che portano stress agli italiani: dopo il Covid, la situazione sta precipitata, perché negli ultimi 12 mesi è chiaramente peggiorato lo stato psicologico dei cittadini.
Con l’inflazione e con la guerra voluta dalla Russia, le cose si sono complicate, soprattutto tra chi non navigava già ad inizio 2020 in acque sicure, soprattutto a livello lavorativo ed economico. Le percentuali in aumento di malessere psicologico sono state rilevate anche da un’indagine svolta dall’Istituto Piepoli per il Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi su un campione rappresentativo della popolazione italiana.
Anche l’Istruzione è coinvolta. Uno dei dati che balza subito agli occhi è quello dell’86% degli intervistati che vorrebbe l’introduzione della figura dello psicologo a scuola: una novità importante che però sembra assai difficile dall’essere realizzata, anche per la mancanza di una normativa nazionale.
Ancora più persone, l’89% degli italiani intervistati, ritengono che l’assistenza psicologica sia un diritto pubblico che deve essere accessibile a tutti gratuitamente: una facoltà che dovrebbe arrivare attraverso il Servizio sanitario nazionale.
“L’indagine – ha detto David Lazzari, presidente del Cnop – conferma il cambiamento socioculturale rispetto ai problemi psicologici. Sempre più si chiede la stessa dignità della salute fisica, sia nella prevenzione che nella cura”.
Secondo Lazzari, però, emerge anche un forte ritardo nel garantire una assistenza pubblica: “i costi umani ed economici dei mancati interventi sono un peso grande che paga tutto il Paese”, conclude il presidente Cnop.
Tutto questo incide anche sul calo delle nascite. Le difficoltà oggettive nel gestire la vita quotidiana, inducono le coppie e rimandare la nascita di un figlio. E l’età media di quando si diventa madri cresce sempre di più: è arrivata a 32 anni, una delle più alte in Europa. Non è una novità, perché già nel 2019 l’8,9% dei primi parti riguardava madri ultraquarantenni, ma la tendenza si sta incrementando.
Secondo il rapporto “Le Equilibriste“, di Save the Children, vi sarebbe una relazione diretta e positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità.
Il rapporto nazionale rileva che “il mercato del lavoro sconta ancora un gap di genere fortissimo. Nel 2022, pur segnando una leggera decrescita, il divario lavorativo tra uomini e donne si è attestato al 17,5%, ma è ben più ampio in presenza di bambini: nella fascia di età 25-54 anni se c’è un figlio minore, il tasso di occupazione per le mamme si ferma al 63%, contro il 90,4% di quello dei papà, e con due figli minori scende fino al 56,1%, mentre i padri che lavorano sono ancora di più (90,8%), con un divario che sale a 34 punti percentuali”.
A pesare tanto su questi dati sono le differenze geografiche e il titolo di studio. Al Sud “l’occupazione delle donne con figli si arena al 39,7% (46,4% se i figli non ci sono), contro il 71,5% del Nord (78,9% senza figli), e in Italia le madri laureate lavorano nell’83,2% dei casi, ma le lavoratrici sono molte meno tra chi ha il diploma della scuola superiore (60,8%) e precipitano al 37,4% se c’è solo la licenza media”.
“Quando il lavoro per le donne c’è, un terzo delle occupate ha un contratto part-time (32% dei casi contro il 7% degli uomini); se ci sono figli minorenni la quota sale al 37%, a fronte del 5,3% dei padri, e con una metà quasi di queste mamme (15%) che si è vista costretta ad un part-time involontario, che non ha scelto”.
“Il gap lavorativo per le donne legato a genere e genitorialità è ancora molto marcato in Italia, ancor più se si considerano le famiglie monogenitoriali (2,9 milioni nel 2021, il 17% del totale dei nuclei; nell’80% dei casi composte da madri single). Madri che si stima nel 44% dei casi vivano in una condizione di povertà, più diffusa tra chi ha un basso livello di istruzione (65%), rispetto a chi ha conseguito un livello di istruzione medio (37%) o alto (13%)”.
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