Continuano a giungere le stroncature sindacali per la Legge di Stabilità approvata il 15 ottobre dal CdM. I rappresentanti dei lavoratori stigmatizzano, in particolare, la decisione del Governo di allungare il blocco contratti.
Ma per la Cgil, nelle pieghe della legge di bilancio si nasconde il rischio di un prolungamento del blocco degli stipendi nel pubblico impiego ben oltre il prossimo anno. “L’ulteriore ed immotivato” congelamento dell’indennità di vacanza contrattuale fino al 2018 “consolida il dubbio che si stiano preparando a bloccare i contratti fino a quella data”. Si arriverebbe così a uno stop di nove anni.
Se, come calcola la Cisl, già si sono persi fino a 4.000 euro a persona in quattro anni, è facile immaginare cosa potrebbe accadere se davvero la sospensione dovesse estendersi. D’altra parte, fa notare il responsabile Settori Pubblici Cgil, Michele Gentile, l’indennità di vacanza contrattuale si attiva in mancanza di rinnovo. Il livellamento al 2010 era stato previsto fino al 2017 e ora la manovra rinvia ancora di un anno il suo pagamento.
A pensarla così è da tempo anche Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, che torna a far notare come già il DEF del Governo Letta prevedesse di allungare lo stop della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, già introdotto con l’art. 9, comma 21 del D.L. 78/2010.
“Non c’era alcun bisogno – commenta il sindacalista siciliano – di bloccare i contratti del pubblico impiego per un altro anno. Perché era stato già stabilito precedentemente. Come non c’era assolutamente bisogno di mettere da parte i fondi per assumere i 150mila docenti precari del comparto Scuola. Perché questi soldi verranno assorbiti attraverso la sparizione del primo gradino stipendiale dei neo-assunti. Tanto è vero – conclude Pacifico – che per accedere all’aumento di stipendio, un precario dovrebbe aver accumulato bene tredici anni di supplenze complessive”.
Il danno economico vale però per tutti. Il leader della Cisl, Annamaria Furlan, in un’intervista ad Avvenire stima che il blocco contrattuale ha prodotto sino ad oggi “una perdita stimata fra i 2.500 e i 4.000 euro” a testa. Il sindacato di via Po indica comparto per comparto i mancati incassi dal 2010 al 2014, dalla scuola (-2.838 euro lordi) ai ministeri (-3.082), dagli enti pubblici non economici come Inps o Inail (-4.686) agli enti di ricerca (-3.800).
A commento di questi numeri Furlan riflette: “pare incredibile che, mentre il governo parla di sostegno alle famiglie ed ai consumi, come datore di lavoro si rifiuti di rinnovare i contratti”. Sulla stessa linea anche il leader della Uil, Luigi Angeletti, che torna a sottolineare la necessità di “fare i contratti per la pubblica amministrazione”.
I sindacalisti di comparto non sono più teneri: per il segretario generale della Uil Scuola, Massimo di Menna, in questa legge di Stabilità “c’è una doppia, ingiusta, penalizzazione: nessun rinnovo contrattuale e niente scatti di anzianità”.
“Il tutto questo – aggiunge – in un quadro che vede l’Italia al penultimo posto, nel rapporto tra spesa in istruzione e spesa pubblica totale (8%) con un trend, che in assenza di una vera qualificazione della spesa pubblica che sposti risorse da sprechi e privilegi a favore dell’istruzione, rischia di farci diventare fanalino di coda dopo la Romania”.
Secondo il sindacalista l’orientamento europeo è chiaro. “La qualità dell’insegnamento impartito e le competenze trasmesse ai nostri giovani avranno ripercussioni durature sui posti di lavoro e la crescita futuri – ha detto il commissario europeo all’Istruzione – è opportuno che gli Stati membri riflettano accuratamente sul peso delle retribuzioni e delle condizioni di lavoro per attirare e mantenere nell’insegnamento i candidati migliori. Dobbiamo ribadirlo chiaramente – afferma Di Menna- quella italiana è una scuola che cresce, che ha competenze, che dà risultati. Servono politiche di modernizzazione che le siano di supporto. L’impostazione della Buona Scuola, non può avere a presupposto che ce ne sia una cattiva, che va cambiata. Ecco – dice Di Menna – la cattiva scuola non c’è. Attenzione a non cadere nell’ottica di voler ricominciare tutto daccapo. Va data fiducia alla scuola. E questo – conclude – non si può fare con politiche ulteriormente restrittive con contratti e progressioni economiche bloccate”.