Al rientro delle ferie natalizie, già dal 3 gennaio scorso, il corpo docenti, attraverso le sigle sindacali maggiori del paese, ha dichiarato uno sciopero nazionale immediato con il conseguente blocco del sistema: scuole chiuse, plessi deserti o, in casi estremi, sovraffollamento di aule in caso di docenti rimasti in servizio.
I punti chiave dalla protesta e di un futuro accordo istituzioni – sindacati, è relativo allo status complessivo del corpo docenti: occorre maggiore considerazione, ruolo nel cambiamento e nel progresso, che pare sempre più una questione drammaticamente verghiana. Gli esclusi dai cambiamenti sono sempre coloro che guidano i futuri cittadini alla rispettiva autorealizzazione critica, mentale ed applicativa. Ma ricevono stipendi da fame, scarsa considerazione, lavorano in ambienti difficili e spesso in strutture fatiscenti.
Lo sciopero è stato indetto per protestare contro le proposte del Governo per la revisione del regime delle assunzioni, attualmente in fase di negoziazione con i sindacati, e per chiedere risposte ad una serie di altri problemi legati alla carriera docente e alle condizioni di lavoro.
Anche la Federazione nazionale degli insegnanti (Fenprof), una delle principali organizzazioni sindacali del settore, ha deciso di riprendere gli scioperi per straordinari non retribuiti, avviati il 24 ottobre. Il Sindacato Indipendente degli Insegnanti e degli Educatori (SIPE) ha indetto uno sciopero parziale, anche per protestare contro alcune proposte di modifica del regime di reclutamento in vigore. In questo caso, l’interruzione è solo per il primo periodo di lezione successivo alle ferie natalizie per ciascun insegnante, il che significa che gli insegnanti possono essere in sciopero in diversi momenti della giornata lavorativa. Comprendere a quanto ammonta il numero di partecipanti risulta essere una sfida anche per gli organizzatori delle proteste.
“È un po’ difficile indicare i numeri perché dipendono dalla comunicazione delle scuole. Tuttavia, attraverso un campione, è possibile vedere che in quasi tutti i comuni del Paese ci sono scuole chiuse o lavoratori in sciopero a tempo parziale, in cui le attività non si svolgono per intero. Ci sono persino comuni che hanno chiuso completamente – alcuni per diversi giorni, e anche per un mese”, ha detto Pedro Xavier, organizzatore per conto di STOP (the Syndicate of All Teachers in Portugal).
Il sistema scolastico portoghese soffre l’assenza di docenti per via delle continue ondate di scioperi. A Viana do Castelo, circa 120 insegnanti e assistenti tecnici ed educativi del gruppo scolastico Monte da Ola di Vila Nova de Anha hanno preso parte questa mattina a un picchetto “per salari migliori e per la scuola pubblica”, che ha coinvolto anche i cittadini locali.
“Insieme per l’educazione”, “Dignità”, “Valorizzazione”, “Rispetto”, “Istruzione: pilastro del futuro” e “Aumenti salariali per compensare l’inflazione” sono alcuni degli slogan leggibili sulle insegne sorrette dai docenti. A Torres Vedras (distretto di Lisbona) stamani circa 150 insegnanti hanno formato un cordone dinanzi al complesso scolastico di Madeira Torres. “Questo – riferendosi agli scioperi in corso – è assolutamente necessario” per gli insegnanti che intendono esprimere il loro punto di vista, ma per i genitori che cercano di raggiungere il posto di lavoro, sarà stato un incubo. A Lourinhã, sempre nel distretto di Lisbona, circa 50 insegnanti di diversi sindacati si sono riuniti davanti alla scuola secondaria Dr João Manuel Delgado, dove l’adesione allo sciopero è stata di circa il 70%.
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