Il piatto piange. E di brutto. È con questo stato d’animo che martedì 13 novembre i sindacati e le confederazioni della Pubblica Amministrazione si presenteranno a Palazzo Vidoni per incontrare la ministra della Funzione pubblica, Giulia Bongiorno, con all’ordine del giorno un confronto diretto sui temi relativi alla manovra economica di fine anno, a partire della modesta presenza di risorse per gli statali in scadenza di contratto con la fine del 2018.
La legge di Bilancio 2019 dedica vari articoli al tema della pubblica amministrazione e, in particolare, destina al rinnovo dei contratti 1,1 miliardi di euro per l’anno prossimo, 1,425 nel 2020 e 1,775 a decorrere dal 2021.
Come già indicato dalla Tecnica della Scuola, lo spazio per gli aumenti effettivi non c’è, perché siccome i dipendenti pubblici sono oltre tre milioni gli stanziamenti previsti dalla legge di bilancio alla fine si riveleranno “pochi spiccioli”: i 4 miliardi di euro di cui si parla nell’articolo 34 della disegno di legge, ora all’esame delle Camere, risultano infatti già ampiamente destinati.
Il primo anno, 535 milioni all’anno serviranno per garantire l’erogazione del cosiddetto elemento perequativo a tutti gli Ata e ai docenti con stipendi più bassi.
Altri 500 milioni, che diventeranno 850 a partire dal 2021, serviranno per pagare l’indennità di vacanza contrattuale ovvero.
La quota effettivamente contrattabile si riduce in tal modo a poche centinaia di milioni di euro.
Il punto d’incontro tra le parti è lontanissimo. Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Pa e Uil Fpl, però, hanno già fatto sapere che si tratta di cifre insufficienti. Poi ci sono le altre confederazioni, anche loro contrariate (come la Uilpa e la Cisal) ancora più contrariate.
Ma in cosa consiste l’aumento prospettato dal Governo: la Fp Cgil ha calcolato che corrisponderebbe ad appena 50 euro lordi nel triennio, quindi circa 25 netti. Quindi solo a regime. Per il 2019 si stima che l’aumento effettivo coprirebbe appena la vacanza contrattuale, pari ad una decina di euro, sempre lordi.
giorni scorsi hanno mobilitato la base in tre grandi assemblee a Milano, Roma e Napoli con l’iniziativa ‘Contrattiamo diritti’ il cui slogan recita “Contratto, assunzioni, risorse, valore al lavoro pubblico”.
Solo nella scuola, per la quale il M5S e gli stessi sindacati continuano a parlare di stipendi europei, di recente alla Tecnica della Scuola lo ha ribadito la leader dello Snals, Elvira Serafini, servirebbero almeno 10 miliardi.
I temi da affrontare, però, non riguardano solo le risorse che scarseggiano. Tra i punti principali rivendicati dalle sigle, ricorda l’Ansa, vi è l’adozione di un piano di assunzioni straordinario (oltre il turnover del 100% già garantito dalla ministra Bongiorno) e la definizione degli atti e delle indicazioni utili a consentire il completamento dei rinnovi contrattuali 2016-2018 per le aree della dirigenza .
A Palazzo Vidoni si dovrebbe pure parlare della definizione di una norma che confermi nell’immediato gli importi corrisposti con l’elemento perequativo ai dipendenti con reddito più basso.
Inoltre, i rappresentanti dei lavoratori rivendicano l’avvio di un piano generale di formazione ed aggiornamento, l’equiparazione normativa del lavoro pubblico al lavoro privato, la reinternalizzazione delle attività esternalizzate.
Direttamente connesso a questi temi c’è poi quello dell’applicazione di ‘Quota 100’ nel settore pubblico: martedì prossimo la Bongiorno ribadirà che per evitare un eccessivo numero di uscite contemporanee dal lavoro pubblico, oltre 160 mila di cui la metà solo dalla scuola, il Governo ha intenzione di introdurre solo per la PA “finestra” unica nel corso dell’anno. Oppure, nella migliore delle ipotesi, ogni nove mesi.
Il tutto, per “garantire la continuità amministrativa” del comparto pubblico.
Certo, per i docenti e Ata non cambierebbe molto: l’unica data di uscita possibile per chi opera nella scuola rimane quella del 1° settembre di ogni anno.
Senza dimenticare che se non si troverà una soluzione immediata per introdurre gli anticipi rispetto alle norme Monti-Fornero, per chi operra nella scuola il rischio concreto è quello di poter beneficiare di quota 100 e quota 41-42 solo partire dal settembre 2020.
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