Come si possono incrementare gli aumenti da 80-85 euro lordi in arrivo in media per i docenti e Ata attraverso il rinnovo del contratto della scuola? Come si può pensare di soddisfare insegnanti, assistenti e collaboratori scolastici, assieme ai sindacati, con una somma così modesta, dopo che dal 2019 (già con l’accordo dell’aprile 2019 con il primo Governo Conte) si parlava di aumenti sicuri tre cifre e nell’ultimo periodo anche di avvicinare gli stipendi europei con 400 euro in più al mese a dipendente? Come si può pensare di utilizzare una parte di quei soldi anche per incentivare il merito, le carriere e le alte professionalità, su cui il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, ha legiferato in tempo lampo per produrre risultati già nel 2022?
Il problema è che dal Documento programmatico della Legge di Bilancio, approvato dal CdM per essere inviato a Bruxelles, giungono numeri poco confortanti. E quelle cifre, meno di due miliardi, vanno divisi per oltre 3 milioni di dipendenti pubblici, di cui quasi il 40% della scuola. Sono soldi, tra l’altro, che potrebbero anche non essere stanziati per l’immediato.
Il piatto, è il caso di dire, piange. E pure di brutto. Docenti e Ata rimangono fermi all’aumento contrattuale.
Ecco che allora i partiti politici, tutti d’accordo nel dare stipendi più dignitosi agli oltre tre milioni di dipendenti pubblici, sembrano trovarsi d’accordo su una proposta: quella di tagliare ulteriormente il cuneo fiscale.
L’operazione già è stata fatta nell’estate del 2020, dal secondo Governo Conte, producendo in media tra le 50 e le 100 euro di “aumento” sulla voce netta della busta paga di ogni dipendente, riservata però solo a chi percepisce compensi annuali al di sotto di una certa soglia.
Quella strada ora può essere ripresa. Certo, non sarebbero veri aumenti, perché si tratterebbe solo di una riduzione ulteriore dalla parte stipendiale che lo Stato assorbe. Ma questo al lavoratore interessa poco.
Dopo il consiglio dei ministri di martedì 19 ottobre si è parlato di un intervento proprio per ridurre ancora il costo del lavoro, attraverso uno stanziamento specifico parti attorno agli otto miliardi: praticamente, più di un terzo dell’intera manovra, che si aggira sui 23 miliardi di euro.
A confermarlo erano stati, poco prima, anche i ministri Mariastella Gelmini e Renato Brunetta: sempre nel corso della cabina di regia sul Documento programmatico di bilancio hanno chiesto, a nome di Forza Italia, di aumentare quanto più possibile lo stanziamento per il taglio del cuneo fiscale (auspicabilmente fino a 10 miliardi) a favore sia delle imprese sia dei lavoratori.
Una misura che farebbe il paio, secondo Forza Italia, con una revisione del reddito di cittadinanza, sul quale si realizzerebbero maggiori controlli nei confronti dei beneficiari e un rafforzamento delle politiche attive.
Però, Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 stelle, ha detto però di non volere abbandonare il reddito di cittadinanza: “Di certo non si cancella, anzi viene rifinanziato e cambiato in meglio”, ha detto l’ex premier. In un post Facebook ha però anche aggiunto che il suo partito si sta battendo “per mettere più soldi in tasca ai lavoratori intervenendo sul cuneo fiscale”.
Pure il segretario del Pd, Enrico Letta, secondo quanto si apprende da fonti del Nazareno riportate dalle agenzie, ha espresso un concetto simile nella stessa giornata.
“Adesso salute, istruzione e occupazione con la riduzione del costo del lavoro. Su queste questioni dobbiamo ripartire oggi a partire dalla legge di bilancio”, avrebbe detto Letta nel corso della riunione della segreteria.
Di “un taglio del cuneo fiscale di almeno 7 miliardi”, ha parlato anche il leader della Lega Matteo Salvini, il quale ha anche ribadito la volontà del suo partito di volere dare “una stretta sui furbetti del reddito di cittadinanza”.
L’operazione leghista appare chiara: più soldi a chi lavora, meno a chi sta a casa. Resta da capire se il Governo sarà disposto a realizzarla: certo, con gli attuali numeri in Parlamento del M5s sarà assai difficile.
Di sicuro, il personale della scuola e del pubblico impiego, con lo stipendio fermo da tre anni, ci spera.
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