E’ ancora presto per dirlo con certezza, ma, per il momento, sul fronte degli stipendi dei docenti e dei dipendenti pubblici in genere, non ci sono buone notizie in arrivo.
Basta leggere con un po’ di attenzione la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza licenziata dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre.
Sono poche righe, nascoste alle pagine 40 e 41 nel paragrafo “Dati di consuntivo e previsioni a legislazione vigente”: “Dopo aver segnato tassi di crescita negativi dal 2011, nel 2018 i redditi da lavoro dipendente della PA sono tornati a crescere ad un ritmo sostenuto (3,3 per cento su base nominale), sulla scorta della dinamica delle retribuzioni pro-capite. Nel 2019 la previsione sconta, fra l’altro, la conclusione della tornata contrattuale 2016-2018 ed il maggior numero di pensionamenti attesi già dal 2019 per effetto della c.d. ‘Quota 100’, l’effetto complessivo è di un incremento dello 0,3 per cento nell’anno”.
E poi la previsione, secca e per nulla rassicurante: “Nel triennio 2020-2022 la spesa per redditi aumenta in media dello 0,6 per cento. L’incidenza sul PIL risulta pertanto in calo, dal 9,7 del 2019 al 9,2 per cento del PIL nel 2022, confermando sostanzialmente le proiezioni del DEF”.
In altre parole: ci sarà un leggero aumento della spesa per stipendi, ma rispetto al PIL la spesa complessiva diminuirà.
In ogni caso se nel 2018, con il rinnovo contrattuale, gli stipendi di tutti i dipendenti pubblici sono aumentati del 3%, per il momento non c’è certezza di un risultato analogo a breve termine.
Se non ci sarà un intervento importante in sede di redazione della legge finanziaria per il 2020, gli annunci del ministro Fioramonti (aumento a tre cifre per i docenti) rimarranno tali e docenti e Ata dovranno accontentarsi dei pochi spiccioli della indennità di vacanza contrattuale.
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