La recente proposta del Pd, arrivata in piena campagna elettorale, di aumentare gli stipendi dei docenti per portarli alla pari con la media europea sta facendo discutere ancora. Ad analizzare questa possibilità e i lati meno chiari della proposta è stato Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Giovanni Agnelli, in un articolo di oggi, 23 agosto, pubblicato su Lavoce.info, giornale on-line d’informazione economica.
Innanzitutto Gavosto ha analizzato, dati alla mano, la condizione retributiva dei docenti italiani. “Secondo i dati 2021 di Eurydice, la rete dei ministeri dell’istruzione europei, la retribuzione annua lorda iniziale in Italia è pari a 24.297 euro per un’insegnante dell’infanzia e della scuola primaria e di 26.114 euro per un’insegnante della secondaria. Dopo quindici anni di lavoro (la durata dell’impiego è in media di 35 anni) la retribuzione annua lorda (Ral) di un docente si aggira sui 30 mila euro e sale a 39.500 a fine carriera per chi insegna nella scuola secondaria. Si tratta di valori in linea con la retribuzione media di un lavoratore dipendente, ma del 30 per cento circa inferiori a quella di un lavoratore laureato”, ha scritto.
A quali paesi europei si riferisce il Pd?
Questa è stata messa a confronto con quella dei colleghi europei: “In primo luogo, se si considerano gli stipendi iniziali degli insegnanti di scuola superiore nei paesi che aderiscono alla rete Eurydice (sostanzialmente quelli dell’Unione europea, dell’Efta-European Free Trade Association, e quelli balcanici candidati all’Ue), la media semplice è pari a 29 mila euro, quindi circa 3 mila euro al di sopra del valore italiano. I paesi dell’Est Europa mostrano retribuzioni significativamente più basse, anche a parità di potere d’acquisto: per esempio, in Estonia, che pure è uno dei sistemi scolastici con i migliori risultati nei test Pisa dell’Ocse, un docente delle superiori guadagna a inizio carriera 16 mila euro”.
“Diversa è la situazione rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, che, immaginiamo siano il riferimento del Partito Democratico: un insegnante italiano guadagna poco meno di un collega francese, ma assai meno di uno spagnolo (35 mila), di uno scandinavo (40 mila) e, soprattutto, di un tedesco (60 mila). La forbice si restringe tenendo conto delle differenze nel costo della vita, ma resta molto ampia. Il secondo aspetto rilevante riguarda la dinamica retributiva: i salari dei docenti italiani crescono poco lungo l’arco della vita lavorativa: arrivano a circa 40 mila euro a fine carriera, e solo per effetto dell’anzianità; in un paese come la Francia, che parte da livelli molto simili ai nostri, le retribuzioni a fine carriera raggiungono i 50 mila euro”, ha continuato.
I punti oscuri della proposta
Gavosto si è poi concentrato sul fatto che il Partito Democratico non ha esplicitato i criteri sulla base dei quali aumenterebbe gli stipendi, sottolineando che ci sono, principalmente, due alternative: “La proposta non chiarisce se si vogliano aumentare le retribuzioni dei docenti innalzando il livello di partenza e lasciando la dinamica attuale o, viceversa, si preferisca rendere più rapida la progressione dello stipendio, legandola a un’eventuale carriera degli insegnanti. Le implicazioni sono diverse: nel primo caso – ha aggiunto Gavosto – l’aumento sarebbe sostanzialmente uguale per tutti gli insegnanti, indipendentemente dalle competenze, dall’impegno, dall’aggiornamento professionale, dalla disponibilità e capacità di assumersi maggiori responsabilità nella scuola o di lavorare nelle situazioni più difficili; nel secondo, invece, i passaggi retributivi andrebbero verosimilmente legati a qualche forma di valutazione del merito dei docenti”.
L’assenza di previsioni di spesa
Ma quanto andrebbe a costare questo aumento nella busta paga dei docenti? “Utilizzando i dati salariali medi del 2019-20 (gli ultimi disponibili da Eurydice), si può moltiplicare la differenza fra il valore medio europeo (36.627 euro) e quello italiano (33.261) per i 699 mila docenti di ruolo: l’aggravio di spesa a regime (ma il Pd ipotizza un percorso di avvicinamento graduale) sarebbe quindi pari a 2,35 miliardi di euro all’anno. Per dare un’idea, si tratta dell’equivalente annuo di quanto verrà speso complessivamente per adeguare tutte le scuole alle tecnologie digitali di qui al 2026”, ha scritto il presidente della Fondazione Giovanni Agnelli.
Per quanto concerne le altre proposte previste nel programma elettorale del Pd a proposito di scuola, Gavosto fa notare che non sono state fatte previsioni di spesa, nemmeno per quanto riguarda, ad esempio, l’intenzione di creare ambienti scolastici sicuri dal punto di vista sanitario attraverso l’installazione di sistemi di ventilazione meccanica.
“Dall’esperienza delle Marche, dove sono stati realizzati sistemi di ventilazione meccanica, sappiamo che il costo medio dell’intervento è pari a 4 mila euro per aula: si tratta probabilmente di una sottostima, perché, a fianco delle opere sulle murature e i condotti d’aria, spesso è necessario anche il rifacimento dell’impianto elettrico. Moltiplicando per le 333.850 classi in Italia (nell’ipotesi che a ogni classe corrisponda un’aula) si giunge a un investimento complessivo di 1,335 miliardi di euro per assicurare la ventilazione meccanica a tutti gli studenti delle scuole statali. Si tratta di un investimento iniziale assai significativo, a cui vanno aggiunti i costi annui di manutenzione ordinaria: è noto infatti che se gli impianti non sono mantenuti in perfette condizioni, il rischio di diffusione del virus addirittura peggiora”, ha concluso Gavosto.