Dal 2010 ad oggi gli stipendi di docenti e Ata si sono ridotti: non solo non ci sono stati aumenti, ma addirittura le retribuzioni procapite sono diminuite.
A rilevarlo è l’Aran, con il suo ultimo Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti (datato dicembre 2015 e basato sulle statistiche di Contabilità nazionale diffuse dall’Istat).
I dati sono stati commentati, il 5 aprile, dalla Flc Cgil. Che ha puntato il dito sulle conseguenze dei numerosi provvedimenti adottati nei confronti dei pubblici dipendenti: dalla sospensione della contrattazione nazionale, al blocco e alla revisione delle dinamiche di carriera (ad esempio per i neo assunti della scuola), dal taglio delle risorse per la contrattazione integrativa e via dicendo.
Con la scuola che, ricordiamo, occupa l’ultimo posto nella graduatoria degli stipendi medi annuali dalla P.A., con meno di 30.000 euro annuali lordi medi percepiti a dipendente.
Il Rapporto evidenza con chiarezza che dal 2010 (anno in cui furono introdotti dal governo Berlusconi i vari blocchi retributivi), la dinamica retributiva del lavoro pubblico relativa ai 4 anni successivi (2010-2013) è risultata decisamente negativa: complessivamente le retribuzioni procapite di fatto sono scese – all’incirca dell’1,2% – nel quadriennio considerato.
“Questo andamento negativo dei livelli retributivi certifica, come è costretto a riconoscere lo stesso Aran, l’importanza del contributo dato dai lavoratori pubblici nell’arginare gli effetti della crisi finanziaria avviatasi alla fine del decennio scorso (sic!)”, spiega il sindacato Confederale.
Per la Pubblica Amministrazione tutto l’incremento si concentra nei primi anni poiché dal 2011 in poi le retribuzioni sono ferme a zero per effetto del blocco contrattuale. Appare pertanto evidente come la variazione nulla del complesso della Pubblica Amministrazione incide al ribasso sulla crescita dell’intera economia.
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Dal confronto tra l’andamento delle retribuzioni contrattuali della Pubblica Amministrazione con quello dei valori dell’inflazione appare evidente la perdita del potere d’acquisto dei salari pubblici. Infatti, a fronte di aumenti retributivi complessivi del 9,4% dal 2008 al 2015, la crescita cumulata dell’inflazione nel periodo considerato è stata del 13,6%, con un perdita di ben 4,2% del potere d’acquisto dei salari pubblici in rapporto all’inflazione (figura 3). Come afferma l’Aran: “il valore di crescita delle retribuzioni della pubblica amministrazione è completamente eroso dalla crescita dei prezzi”.
La conseguenza è che anche l’Aran si chiede: a quando i rinnovi dei contratti nazionali per i lavoratori pubblici?
Dallo studio nazionale, infine, emerge come nello stesso periodo considerato (2010-2013) la dinamica retributiva dei settori privati abbia avuto un andamento diverso dal pubblico impiego, facendo registrare un incremento di tipo positivo (all’incirca del 6%).
“Tale esito contribuisce a sfatare – dice sempre la Flc Cgil – il luogo comune che vuole il pubblico impiego beneficiario di una dinamica retributiva più favorevole rispetto a quella dei settori privati. La realtà è diversa, poiché il blocco della contrattazione subita dai lavoratori pubblici ha determinato un peggioramento tale per cui se si prende a riferimento anche un periodo medio-lungo (compreso tra il 2000 e il 2013) tra i due settori emerge una situazione complessiva più favorevole per il settore privato (di circa 5 punti)”.
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