I sindacati della scuola respingono con forza l’idea della maggioranza di Governo di introdurre, con un ‘ordine del giorno già approvato e un disegno di legge che ha appena avviato il suo iter, gli stipendi dei docenti maggiorati solo nelle regioni dove la vita è oggettivamente più cara: contro le cosiddette ‘gabbie salariali’, i rappresentanti dei lavoratori si dicono pronti a mobilitarsi e a scendere in piazza.
Il motivo? Prima di tutto perché la proposta viene in qualche modo associata a quella dell’autonomia differenziata, altro “cavallo di battaglia” della Lega prima e di altri rappresentanti della maggioranza poi.
“Mi sembra ci sia nella testa del governo solo la divisione: si dividono il paese e i lavoratori, non c’è una idea di coesione. La contrattazione collettiva nazionale nasce anche per dare una risposta di unità al Paese ma dal governo arriva, con questo ordine del giorno e con l’autonomia differenziata, una operazione opposta”, ha detto Gianna Fracassi, segretaria generale Flc-Cgil.
La sindacalista spiega che “se si andrà avanti su questa strada, siamo pronti ad una mobilitazione forte”.
linea Ivana Barbacci, leader Cisl Scuola, invece tiene a dire che “la questione della retribuzione degli insegnanti è un tema di carattere nazionale, che attiene al contratto collettivo nazionale e che deve avere un ruolo primario in termini di riconoscimento salariale”.
Secondo Barbacci, quindi, non è proprio il caso di “intervenire sugli stipendi, differenziandoli, ma di pensare piuttosto ad un sistema di contrattazione di secondo livello, che possa attingere a risorse locali per riconoscere benefit e welfare a tutto il personale che lavora fuori dalla propria sede, sia del Nord che del Sud Italia“.
Secondo il numero uno dell’Anief, Marcello Pacifico, gli incrementi stipendiali “andrebbero assicurati a tutti i lavoratori della scuola da parte di chi la governa. Pensare di risolverli con un’operazione di incremento indistinto a livello regionale, che sembra il proseguimento dell’autonomia differenziata, non ci può trovare d’accordo”.
“Differenziare gli stipendi dei docenti in base alle Regioni dove la vita è più cara – continua Pacifico – non è corretto, perché sarebbe uno smacco nei confronti di quelli che insegnano in condizioni altamente difficili in altre zone d’Italia. Quello che si può fare, invece, è introdurre delle indennità dovute alle trasferte, alle difficoltà del territorio, al grado di dispersione, alla presenza di alunni stranieri e con limiti di apprendimento”.
E ancora: “L’operazione verità a cui rispondere – continua il leader dell’Anief – è quello di incrementare lo stipendio base per tutti in modo indistinto, andando subito a coprire con l’indennità di vacanza contrattuale piena l’aumento dell’inflazione di oltre il 15% in soli due anni. Al personale della scuola, a tutti i docenti ma anche agli Ata, mancano in busta paga 300 euro netti al mese: sono quelli che servirebbero per allineare le loro buste paga alla media europee e a spazzare gli effetti del caro vita. Per questi motivi ci stiamo rivolgendo al giudice, al fine di recuperare per intero l’indennità di vacanza contrattuale al 50% del tasso di inflazione programmata ‘vera’, con risarcimenti che arrivano a 4.000 euro a lavoratore”.
“Gli aumenti programmati per questo mese – conclude il sindacalista – sono bene accetti, ma insufficienti. E fanno ben sperare i tanti esiti positivi prodotti dai giudici negli ultimi tempi con la Carta del docente la ricostruzione della carriera, le ferie non godute e gli scatti stipendiali.
Da parte del Governo, però, il quadro non è così allarmante. Il deputato Rossano Sasso della Lega, infatti, ha tenuto a fare sapere che l’idea di chi ha escogitato questo disegno di legge è di avere uno stipendio uguale per tutti ma con qualche elemento accessorio legato al costo della vita o al fatto che si tratti di lavoratori fuorisede. Nessuno – chiarisce Sasso – vuole differenziare o discriminare stipendi e insegnanti, qualcuno sta semplicemente pensando come aiutare i tantissimi insegnanti fuorisede che vedono la propria retribuzione perdere potere d’acquisto”.
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