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Stipendi docenti, un lavoro mal pagato è un lavoro che vale poco

Quasi tutti d’accordo, da più di vent’anni, i ministri dell’Istruzione in Italia, nel dire che gli stipendi dei docenti sono troppo bassi. Lasciamo fuori dal florilegio di citazioni che seguirà il ministro Berlinguer: con lui comincia il tormentone del “premio al merito”, infelice fil rouge che attraverserà il ventennio.

All’inizio del 2000 il ministro Tullio De Mauro dichiara: “L’ho detto prima di entrare al governo e continuerò a dirlo finchè avrò voce, con dati statistici alla mano: il livello delle retribuzioni degli insegnanti italiani è assolutamente scandaloso nel confronto internazionale; lo era prima e lo è tanto più negli ultimi anni, quando la mole di lavoro e anche l’impegno sono diventati enormi”. De Mauro viene sostituito nel 2001 da Letizia Moratti. Riportiamo due sue risposte del settembre 2003.

Perché gli stipendi dei professori italiani sono fra i più bassi d’Europa?
«Non è vero. C’è stata una prima tranche di adeguamenti nel 2001 e l’ultimo contratto, da agosto, porta un aumento medio di 150 euro al mese: ci siamo avvicinati fortemente alle medie europee».

Anche così restano fra i più bassi…

«Quando si parla di media europea bisogna vedere anche l’impegno. Nella scuola elementare un docente italiano insegna 748 ore contro una media nell’Unione europea di 792; nella secondaria 612 ore invece di 684; alle superiori 748 anziché 808».

Onore al merito: finalmente qualcuno esce dal coro, mente senza pudore (oppure dice dice quel che pensa) ed afferma che non è vero che i docenti vengono poco retribuiti: lavorano poco poco e hanno quel che si meritano.

Nel marzo 2008, il ministro Fioroni ammette invece:“E’ indiscusso che gli stipendi degli insegnanti non sono certo all’altezza della funzione e del ruolo. In 18 mesi di Governo non siamo riusciti ad affrontare il problema, se non con un rinnovo contrattuale che aveva appena gettato il seme”. Ma presto il moderato Fioroni viene sostituito dalla ministra Gelmini che, ancorché militi nello stesso campo politico di Moratti, non vuole “ignorare la realtà”. Giugno 2008: “Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di insegnamento è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. Fosse in Germania ne guadagnerebbe 20 mila in più, in Finlandia 16 mila in più.

La media Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) è superiore ai 40 mila euro l’anno”. Però tutto resta come prima, peggio di prima: Tremonti, Brunetta e quello delle “tre I” hanno convinto il Paese babbeo che i pubblici dipendenti sono fannulloni, che con la cultura non ci si fa nemmeno un panino etc. Quindi, nonostante le auliche parole della ministra, la scuola subisce il “taglio epocale”, di cui ancora oggi paga le conseguenze: otto miliardi e mezzo di euro in meno. Nel giro di tre anni scolastici ci saranno tagli alle piante organiche di 87.400 cattedre per gli insegnanti e di 44.500 posti per il personale ausiliario, tecnico e amministrativo.Dove sono andati i risparmi fatti a danno della scuola? Sono, ad esempio, serviti a finanziare i «capitani coraggiosi» che, secondo Berlusconi, avrebbero salvato l’Alitalia dall’acquisizione di Air France.

Valeva proprio la pena di sacrificare la scuola ed oggi possiamo compiutamente valutare la portata di tale abile operazione. Torniamo al 2012. È la volta del Ministro Profumo: i docenti “non hanno stipendi corretti, non sono confrontabili con quelli di altri Paesi ma io credo che il corpo docente in questo momento chiede prima di tutto di essere rispettato e rivalutato. Tutta la scuola chiede di essere rivalutata per quello che rappresenta per l’intero Paese“. La solfa del “rispetto” continua ad essere messa sul tappeto: eppure, tutti dovrebbero sapere che in una società di mercato il lavoro vale tanto quanto è pagato. Nel 2013 assurge al trono di viale Trastevere Maria Chiara Carrozza: non ha gran tempo per far proclami ed impiega le sue energie per evitare che il MEF decurti gli stipendi dei docenti di scatti di anzianità percepiti, secondo il MEF, illegittimamente. Quello del blocco degli scatti di anzianità è un altro bel capitolo che converrebbe rileggere. Anche in questo caso, in sintesi, la scuola serve per il maggior risparmio, a danno di chi ci lavora. Arriviamo al 2016, e alla “Buona scuola”. La ministra Giannini afferma: “Mi pare che i margini per un aumento della base stipendiale ci siano e allora sarò io la prima che farà battaglia. […] Abbiamo stanziato oltre 200 milioni per la valutazione dei docenti e i relativi premi oltre alla card strutturale per l’autoformazione pari a 500 euro l’anno […] Piccoli passi nella giusta direzione”.

Nella giusta direzione: eccome! Nel luglio 2017, la ministra Fedeli butta il cuore oltre l’ostacolo: “Gli insegnanti sono fondamentali. Sono i meno pagati d’Europa e bisogna rinnovare il loro contratto. Io su questo sono molto impegnata […] Penso che quella dell’insegnante dovrebbe essere una delle professionalità maggiormente pagate di questo Paese perché hanno in mano il destino e il futuro dei giovani e di tutta la società. Dovrebbero percepire almeno il doppio di quello che prendono ora […]”. Fedeli avrà l’onore di rinnovare un contratto fermo da circa dieci anni: i lavoratori della scuola si vedranno in busta paga un aumento del 3,48%! Poco dopo scende in campo il ministro Bussetti.

Dichiara: “Lo stipendio dei docenti è fermo da anni e ho convocato i sindacati per discutere l’aumento ai docenti e al personale amministrativo […] Entro il triennio di vigenza contrattuale saranno reperite ulteriori risorse destinate al personale della scuola per allineare gradualmente gli stipendi alla media di quelli degli altri Paesi europei…” Si riferisce a quei colloqui che porteranno alla firma di un’intesa con i “sindacati maggiormente rappresentativi” il 24 aprile 2019. Sarebbe stato necessario rinnovare il contratto di lavoro scaduto da mesi, ma ci si accontentò di “un’intesa”. Bussetti durerà poco in carica: subentrerà il ministro attuale, Fioramonti, che, nel settembre 2019, così si esprime: “Penso ad un aumento mensile a tre cifre, cento euro […] La dedizione di un insegnante non si misura con le ore di lavoro. La scuola non è un ufficio postale e funziona grazie al lavoro anche volontario che fanno molti insegnanti per passione e perché sanno che la loro è una missione sociale.

Non credo che un aumento di stipendio come premio funzioni”. Lo dimostrano “studi economici” (?). Porta come esempio i donatori di sangue (sic!)– bell’esempio, visto che ormai insegnare comporta non solo impegno, fatica ma anche, a volte, il versare un po’ di sangue: “Molti lo fanno (donare il sangue n.d.r), perché ritengono che sia una funzione sociale. Quando si paga chi dona il sangue, diminuisce il numero dei donatori. Per questo penso a riconoscimenti, premi, apprezzamenti da parte dei genitori, della comunità che riconosca il loro (dei docenti) fondamentale ruolo”.

Ora, se gli insegnanti ed il personale ATA possono continuare a fare tranquillamente il loro lavoro e non ritengono che valga la pena di indignarsi di fronte alla presa in giro perpetrata ai loro danni per decenni da politici di diverso orientamento ma in realtà tutti ben intenzionati ad occuparsi della scuola soltanto come capitolo di spesa da ridurre anno dopo anno, vuol dire che qualcosa non va.

L’incapacità di dare voce alla prima, elementare richiesta di ogni lavoratore, quella di essere retribuito dignitosamente ha trascinato e trascina con sé un’altra altrettanto grave incapacità collettiva: quella di esprimere il proprio parere sul governo della scuola, afflitta, nel ventennio ultimo, da quattro riforme, tangenti rispetto ai problemi reali dell’insegnare e dell’apprendere ed il cui unico vero risultato è stato quello di aver soffocato con la burocrazia, la gerarchizzazione, le futili mode pedagogiche un lavoro la cui importanza sociale viene, ogni giorno, svilita dai fatti.

Pretendiamo di essere trattati con maggior rispetto, in primo luogo da governanti che, sinora, hanno dimostrato di avere pochissime idee e molta ipocrisia. I lavoratori della scuola debbono urgentemente riprendere la parola, sia rispetto alla specificità del loro lavoro sia rispetto alle loro condizioni materiali di lavoro. La protesta non può che partire dal basso; noi, come sindacato di base, crediamo nel valore dell’auto-organizzazione, ci rendiamo disponibili e invitiamo tutte le scuole a diventare luogo di confronto su temi che ci toccano in quanto lavoratori ma che riguardano anche i nostri studenti e le loro famiglie e più in generale, il nostro Paese, che non merita una scuola ridotta a recinto di contenimento delle giovani generazioni.

Giovanna Lo Presti

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