Fra poche ore la bozza della legge di bilancio sarà approvata dal Governo e inviata al Parlamento e, fra i diversi nodi ancora da sciogliere, c’è quello degli stipendi dei dipendenti pubblici (2 milioni e mezzo in tutto, senza contare quelli non contrattualizzati come per esempio le forze dell’ordine, i professori universitari e i magistrati).
Due giorni fa il vicepresidente del Consiglio ha assicurato che nel disegno di legge ci sono sicuramente i soldi necessari ad evitare che a gennaio 2019 gli stipendi di una parte dei dipendenti diminuiscano a causa della cessazione del cosiddetto elemento perequativo (si tratta di una somma variabile fra i 10 e i 30 euro prevista per gli stipendi più bassi): grosso modo lo stanziamento dovrebbe essere di 700 milioni di euro.
Parlando degli stipendi dei docenti, Di Maio si è lasciato andare a previsioni molto ottimistiche accennando persino alla possibilità che con il prossimo contratto nazionale si tenti un primo avvicinamento agli stipendi europei.
Per il momento, però, pare che nella legge di bilancio non ci sia nulla di concreto in questa direzione.
Ma, nel concreto, quanti soldi ci vorrebbero per fare qualche passo su questa strada?
Il conto è abbastanza semplice: per aumentare gli stipendi dei docenti di un punto percentuale occorrono all’incirca 350-400 milioni, quindi per aumentare gli stipendi del 10% occorrono 4 miliardi di euro.
Un aumento del 10% significa all’incirca 150 euro mensili in più che, al netto delle ritenute, si riducono a 80-90 euro.
Ma questo sarebbe ancora lontano, lontanissimo dal valore medio degli stipendi europei per raggiungere i quali sarebbero necessari aumenti del 20-25%, pari dunque a 10 miliardi.
Per percorrere questa strada, però, è necessario superare alcuni vincoli, a cominciare da quelli posti dagli accordi sul costo del lavoro sottoscritti da Governo e sindacati nel 1993 e nel 2009.
Nel 1993, infatti, le parti sottoscrissero un accordo che prevedeva che gli aumenti contrattuali non potessero superare il “tasso di inflazione programmata” (TIP), il tasso, cioè, fissato in via previsionale dal Governo stesso.
L’accordo venne rinnovato nel 2009 quando il TIP venne sostituito con l’indice IPCA, più vantaggioso per i lavoratori ma che comunque non consentirebbe in alcun modo un aumento degli stipendi dei docenti dell’ordine del 20-25% (ma per la verità neppure del 10%).
Per raggiungere l’obiettivo sarebbe dunque necessario innanzitutto il superamento dei due accordi citati: cosa non semplice perchè una eventuale soluzione di questo genere aprirebbe immediatamente una vera e propria “rincorsa salariale” da parte delle altre categorie del pubblico impiego.
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