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Stipendi, Gavosto: “Giusto differenziarli, ma in base a ore e mansioni. Ai docenti italiani si è chiesto poco e poco si è dato”

In questi giorni si fa un gran parlare di stipendi dei docenti, e di possibili differenziazioni su base regionale, soprattutto dopo la diffusione delle parole del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara e dopo l’approvazione, avvenuta ieri in Consiglio dei Ministri, del disegno di legge sull’autonomia differenziata.

In molti hanno commentato questa tematica. L’ultimo a farlo è stato Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, che in un articolo pubblicato oggi, 3 febbraio, su Il Corriere della Sera, ha spiegato quali sono, a suo avviso, i criteri su cui basare eventuali aumenti stipendiali agli insegnanti.

“A me pare che vi siano casi in cui adeguare gli stipendi del personale della scuola a condizioni di lavoro differenti possa in effetti condurre a un miglioramento della qualità dell’insegnamento”, ha scritto, ponendosi favorevole rispetto a possibili differenze salariali. Ma sulla base di cosa?

Quali docenti pagare di più?

“Se vogliamo – come spesso si sente dire – adeguare le retribuzioni degli insegnanti agli standard europei bisognerebbe che gli aumenti fossero collegati a un corrispondente adeguamento del monte ore lavorativo ai relativi standard e alla disponibilità ad assumersi all’interno dell’organizzazione scolastica responsabilità maggiori”, ha detto Gavosto. Per lui, in sostanza, dovrebbero essere pagati di più i docenti che fanno più ore e che hanno più mansioni.

“L’Italia è l’unico grande paese del Vecchio continente dove sono contrattualizzate solo le ore di lezione in classe (ad esempio, 18 alla settimana per i docenti delle superiori), mentre tutte le altre attività didattiche e di programmazione sono lasciate alla discrezione e al senso del dovere del singolo”, ha scritto in relazione al primo punto.

E, sul secondo: “Responsabilità maggiori richiedono competenze diverse e più complesse di quelle che servono per fare una lezione, specialmente una lezione tradizionale. In breve, penso a stipendi che crescano in relazione a passaggi di carriera e non più solo al numero di anni di lavoro, come peraltro accade in molti altri settori del pubblico impiego”.

Secondo il direttore della Fondazione Agnelli occorre fare attenzione ai docenti che insegnano in condizioni complicate: “Bisogna incentivare chi sia disponibile a insegnare nelle situazioni più difficili. In Italia ci sono scuole e aree dove il disagio scolastico è più forte, che sono poi le stesse dove sarebbe ancora più necessario offrire una superiore qualità d’insegnamento. Scuole e territori che spesso portano più a fuggire che a restare. Chi ha motivazione e attitudine a sfide più difficili e anche umanamente più impegnative, affrontandole con successo, va remunerato, come succede in Francia”.

Carenza di docenti Stem, che fare?

Poi Gavosto ha riflettuto sul problema della carenza di docenti di materie Stem: i laureati in queste discipline sono molto attrattivi per le aziende, dove riescono a trovare lavori più remunerati rispetto al mestiere del docente. Il risultato? Nessuno di questi professionisti preferisce insegnare. “Bisognerebbe, dunque, trovare i giusti incentivi per orientarlo all’insegnamento. Quello economico non è l’unico, ma probabilmente il più efficace. Certo, che la prof di matematica sia pagata di più del collega di diritto o addirittura di italiano va contro la cultura diffusa nella scuola. Ma chiedo a chi non ne vuole neppure parlare: come risolvere altrimenti un problema che andrà ancora ad aggravarsi e che rischia di condurre ad apprendimenti nelle materie scientifiche del tutto inadeguati?”, ha detto.

“Spesso ai docenti italiani si è chiesto poco e poco si è dato. Io credo che chi è disponibile a dare di più in termini di impegno, motivazioni, tempo e competenze debba ricevere di più, anche sul piano economico”, ha concluso.

Redazione

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