Quando si insediano, tutti i governi, compreso quello di Matteo Renzi, fanno a gara nel dire che la Scuola viene prima di tutto.
Poi, però, l’istruzione pubblica è sempre l’agnello sacrificale per far quadrare i conti.
Lo ha detto Alessandro Giuliani, direttore della Tecnica della Scuola, parlando il 17 luglio a Radio Cusano, nel corso della trasmissione “L’Angolo del direttore”.
Sollecitato sui motivi che hanno portato gli stipendi degli insegnanti su un livello forse mai avuto in Italia, rispetto al loro valore effettivo, il direttore è stato molto duro: “avere 85 euro lordi, anche meno per i docenti con una certa anzianità e per tutti i dirigenti scolastici, perché sono categorie che guadagnano di più, non può cambiare lo stato delle cose”.
“La ministra – ha detto ancora – dice da settimane che si è già voltato pagina, al fine di iniziare a valorizzare i docenti dando loro uno stipendio più adeguato al lavoro che svolgono. Viene però da chiedersi: ma di cosa stiamo parlando, se poi nelle tasche del personale con lo stipendio fermo dal 2009 andranno poche decine di euro netti al mese? Avere o non avere a fine anno 500 euro, non crediamo che muti in meglio la dignità e lo status di un docente”.
“Ormai è una prassi – ha continuato Giuliani – che abbraccia tutto il settore della Conoscenza. La stessa università, dove i professori minacciano di bloccare l’appello post-estate perché senza scatti stipendiale da anni. È un dato di fatto che nelle scuole e negli atenei pubblici arrivano ormai solo poco più dei soldi necessari agli stipendi: come si fa a parlare, in queste condizioni, di investimenti nella cultura, di valorizzazione del corpo insegnante, di formazione di qualità, in queste condizioni?”.
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“La colpa – ha detto ancora Giuliani – non è solo del ministero dell’Istruzione, ma va ricondotta principalmente alle scelte di Governo e ai limiti imposti dal Mef: cosa si può contrattare all’Aran, quando i soldi sono quelli e nulla di più?”.
Nel corso della puntata, si è anche parlato dell’appello ai parlamentari Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, presidenti delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, riferendosi alle dichiarazioni rilasciate dal responsabile dell’Inps, Tito Boeri, al Sole 24 Ore.
Giuliani ha detto che “il destino sembrerebbe segnato al passaggio ai 67 anni di età per accedere al pensionamento, dal 1° gennaio 2019, e poi gradualmente, con incrementi biennali, sino almeno a 70 anni. Anche perché sinora i tentativi, fatti anche dai sindacati, di tutelare gli attuali 60enni, già penalizzati dalla riforma Fornero, e fornire una paracaduto ai giovani, destinati e pensioni mini, sinora non hanno avuto grande seguito da parte del Governo”.
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