In campagna elettorale tutti promettono l’“equiparazione degli stipendi degli insegnanti ai parametri europei”. Ma la prima domanda è “con quali risorse?”, e la seconda “a partire da quando?”.
Su questi punti cruciali le forze politiche cercano di dare delle risposte, e spesso le sparano grosse, ben capendo la forza elettorale di un settore come la scuola, salvo poi dimenticarsene per tutta la durata della legislatura. Sul punto La Tecnica della scuola ha svolto un sondaggio da cui emerge che i docenti ne sono ben consapevoli.
Consideriamo due proposte: quella del Pd di Letta e quella di Unione Popolare di De Magistris.
La promessa di Letta è di 300 euro di aumento entro la fine della legislatura (quindi dal 2027). Ci vogliono dai 6 agli 8 miliardi. Dove trovarli? Nel programma del Pd non è detto chiaramente, al punto che si tirano in ballo perfino le risorse del Pnrr, che notoriamente, come ci hanno spiegato finora, non sono utilizzabili per gli stipendi, in quanto costituiscono un prestito erogato dall’Unione Europea per aiutare gli stati membri a superare la crisi legata alla pandemia a condizioni ben precise. Per gli stipendi invece servono risorse strutturali e stabili.
Più concreta la proposta di Unione Popolare di De Magistris. “La maggiore dotazione finanziaria a favore dell’istruzione dovrà provenire dalla riduzione delle spese militari” dicono chiaro e tondo.
Ma la strada è davvero percorribile? Già prima delle elezioni del 2018 il Movimento5Stelle indicava fra le sue priorità quella di tagliare le spese per gli armamenti offensivi, destinando le risorse ad altri strumenti innovativi (al tempo si parlava di cyber security). E abbiamo visto come è finita. Col governo Draghi e la guerra in Ucraina, l’impegno per le spese militari è diventato imprescindibile.
Guardando i numeri, le spese militari negli ultimi anni non hanno fatto che aumentare: 21 miliardi nel 2019, 26 miliardi nel 2020, 28 miliardi nel 2021, 29 miliardi nel 2022, pari a 80 milioni al giorno, con la prospettiva di un incremento a 100 milioni al giorno. Ne dà notizia Manlio Dinucci, nella sua rassegna stampa internazionale del 19 agosto su Byoblu.
Benché in carica solo per gli affari correnti, dal giorno dello scioglimento delle Camere (21 luglio) a oggi, il governo Draghi ha trasmesso al parlamento 7 decreti per avviare o completare programmi di armamento, il cui costo supera i 7 miliardi di euro. “La spesa non è banale -dice Dinucci- perché vale la metà del nuovo Decreto Aiuti,varato con tanta enfasi.” E cita fonti della Nato: “Fare di più costerà di più. Gli Alleati sono impegnati a rispettare l’impegno preso nel 2014 di spendere almeno il 2% del PIL per la Difesa. Dal 2014 gli Alleati europei e il Canada hanno speso 350 miliardi di dollari in più. Il 2% è sempre più considerato un pavimento, non un tetto”.
Sì proprio così. Lo dice il Comunicato Stampa governativo del 5 agosto 2022. Con il primo Decreto Aiuti, convertito in legge il 15 luglio 2022, è stato previsto uno stanziamento per il sostegno finanziario in favore dell’Ucraina. In attuazione di questa norma, 200 milioni di euro sono destinati al pagamento dei salari del personale delle scuole ucraine.
“Si tratta di un finanziamento parallelo al programma della Banca Mondiale denominato PEACE (Public Expenditure for Administrative Capacity Endurance in Ukraine) – è scritto nel comunicato -che ha come obiettivo garantire la continuità amministrativa e dei servizi essenziali dello Stato ucraino. Il prestito, che sarà gestito da Cassa Depositi e Prestiti, sarà soggetto agli stessi standard di monitoraggio, audit e controllo del programma PEACE e sarà oggetto di successiva rendicontazione al Parlamento. Le condizioni del prestito, che non prevedono oneri per interessi, sono coerenti con la moratoria annunciata il 20 luglio scorso dagli altri ministeri delle finanze dei Paesi del G7”. Un prestito senza interessi, la cui restituzione appare ragionevolmente incerta, viste le condizioni dell’Ucraina. Però le risorse si trovano sempre, anche nel momento più grave della crisi che si abbatte su Italia ed Europa.
Il Contratto è ancora fermo al 2018, e l’ultima proposta su cui si trattava, prima delle dimissioni del governo, era di un aumento di stipendio per i docenti di 102-123 euro lordi.
È poi suonata quasi come una presa in giro la norma contenuta nel Decreto Aiuti bis di attribuire un assegno annuale pari a 5.650 euro lordi ai docenti “esperti” che saranno selezionati dopo aver svolto e superato positivamente tre percorsi triennali di formazione, consecutivi e non sovrapponibili.
Lo scopo sarebbe di attivare una progressione di carriera selettiva, anche se l’individuazione di docenti esperti non comporta nuove o diverse funzioni, oltre a quelle dell’insegnamento.
La quota di docenti “esperti” non può essere superiore a 8.000 unità per ciascuno degli anni scolastici dal 2032/2033 al 2035/2036, fino ad un massimo di 32.000 unità a regime. Nella relazione tecnica che accompagna il provvedimento nell’iter di approvazione parlamentare leggiamo che “Si calcola a regime una spesa massima di 180.800.000 euro per l’onere relativo all’attribuzione dell’assegno ad personam”.
Insomma una somma inferiore a quella stanziata per i docenti ucraini e accessibile fra 10 anni. Proprio una gran considerazione della scuola italiana e di chi ci lavora.
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