Mentre i docenti e Ata italiani si lamentano perché ricevono stipendi molto al di sotto di quello che dovrebbero, dall’Istat arriva la beffa del saldo annuale che vede la scuola ai primi posti per incremento dei compensi annuali.
Secondo il rapporto periodico dell’Istituto nazionale di statistica, guardando ai principali macro-settori, a marzo “le retribuzioni contrattuali orarie hanno fatto registrare un incremento tendenziale dello 0,8% per i dipendenti del settore privato (+1,1% nell’industria e +0,4% nei servizi privati) e del 3,4% per quelli della pubblica amministrazione. I settori che presentano gli incrementi maggiori, sempre nel confronto annuo, sono attività dei vigili del fuoco (+10,3%) e scuola e regioni e autonomie locali (entrambi +3,7%)”.
Le somme che tira l’Istat, insomma, sembrerebbero porre l’Istruzione tra i comparti meglio trattati dai Governi. Peccato che le cose stanno molto diversamente. Perché quell’aumento è frutto dell’accordo sul contratto entrato a regime l’aprile scorso.
Dopo, però, quasi dieci anni di vuoto. Durante i quali l’aumento del costo della vita, almeno di un punto percentuale annuo, e l’incremento periodico degli stipendi degli altri Paesi europei, sopra anche di mille euro al mese, hanno fatto letteralmente sprofondare i salari degli insegnanti e del personale Ata. Tanto che pure la retribuzione media annua, complice l’immissione in ruolo corposa del 2016 grazie al piano straordinario della Buona Scuola, si è ridotta di circa un migliaio di euro annui.
Il disagio, nella categoria, è alto. Al punto che seguito dell’accordo di Palazzo Chigi della scorsa settimana, la maggior parte degli analisti di Scuola già parla di incrementi prossimi non inferiori ai cento euro, anche se poi ben vedere meno della metà potrebbero essere in realtà delle risorse già interne, come i bonus merito e professionali oppure derivanti dal ridimensionamento dell’alternanza scuola-lavoro e del Fis.
Ma dall’Istat arriva almeno un altro dato indicativo: “Per quanto riguarda i contratti in attesa di rinnovo, complessivamente a fine marzo sono 41, relativi a circa 6,5 milioni di dipendenti (52,4%), in lieve diminuzione rispetto al mese precedente (53,0%)”, riporta ancora l’Istituto di statistica.
Ebbene, tra i 41 contratti collettivi di lavoro scaduti, c’è anche quello della Scuola: sul quale, dall’attuale mese è scattata l’indennità di vacanza contrattuale, che fino a tutto il 2021 porterà in avanti i compensi di un altro misero 2,5% massimo 3%. Una percentuale che a stento coprirà, quindi, solo l’inflazione.
Per il resto degli incrementi – quelli decisamente più corposi – da inserire in busta paga, invece, rimaniamo tutti in fervente attesa.
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