Personale

Stipendi miseri, pensione lontanissima, liquidazione dopo anni: la differenza fra realtà e promesse

È “normale” mandare in pensione un insegnante a 67 anni? È “normale” che, oltre a ciò, un docente debba aspettare altri tre anni — arrivando quindi ai 70 — per ricevere il TFR/TFS?

Tutti i politici più influenti e potenti d’Italia si sperticano nell’elogiare il difficile lavoro dei docenti. Si stracciano le vesti nel compiangerne il trattamento economico, il lungo precariato, la scarsa stima sociale, le frequenti aggressioni subite (verbali per lo più, ma spesso e volentieri persino fisiche).

La politica elogia gli insegnanti. I salari li umiliano

Nonostante cotali continui riconoscimenti (da parte di chi nulla fa per cambiare le cose, pur avendone la facoltà), le cose continuano a peggiorare. Lo stipendio non aumenta — anzi spesso addirittura diminuisce di decine di euro a causa di imperscrutabili alchimie fiscali — malgrado l’esultanza del ministro Valditara, che vanta “aumenti mai visti” (forse perché sono in effetti molti i docenti che non li hanno visti proprio?).

Intanto l’OCSE nel suo Rapporto 2024 denota un’ulteriore diminuzione degli stipendi dei docenti italiani rispetto alla media europea (che al contrario è in crescita costante), con l’inflazione reale che continua a eroderne le entrate, mentre torna a farsi evidente la necessità di un automatismo perequativo com’era la scala mobile: ricordo di tempi in cui la democrazia italiana era una democrazia, anziché una autoritaria scatola di belle parole vuote.

Mantenere basse le retribuzioni degli insegnanti: una scelta politica?

I docenti sono ormai alle prese col bisogno costante di risparmiare su tutto, per pagare bollette, assicurazioni, imposte dirette (e le indirette, particolarmente gravose e che nulla hanno che fare con l’effettiva capacità contributiva di un lavoratore dipendente). La decisione di incrementare gli stipendi dei lavoratori della Scuola è una decisione politica, che nessuno dei decisori politici prende, perché sanno che il primo passo da fare per invertire la rotta sarebbe quello di metter mano alla modifica del Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, il quale lega gli aumenti stipendiali dei docenti all’inflazione “programmata” (equiparandoli agli impiegati della Pubblica Amministrazione, anziché ai docenti universitari, che pure esercitano la funzione docente). E siccome l’inflazione “programmata” la decide il Governo, gli stipendi li decide il Governo. Le chiacchiere, dunque, stanno a zero. Soprattutto se si pensa ai miliardi destinati anche dall’attuale governo alle sempre crescenti spese militari.

L’insegnamento consuma il fisico e la psiche: gli studi di Vittorio Lodolo D’Oria

Dopo una vita intera di docenza (perché 43 anni sono una vita intera) nelle ben note, facili e gradevoli condizioni in cui i docenti insegnano, si arriva alla fine totalmente stremati.

Esperto in malattie professionali dei docenti, il medico Vittorio Lodolo D’Oria da decenni lotta per il riconoscimento in sede legislativa dell’insegnamento come lavoro altamente usurante per la salute fisica e psichica. Che abbia ragione da vendere lo constatano i docenti ogni giorno, quando si sentono letteralmente sfiniti dopo tre o quattro ore di lezione, ed hanno ancora da affrontare un pomeriggio intero di altro lavoro per la Scuola: riunioni, programmazione, preparazione delle lezioni, aggiornamento, correzione degli elaborati. Si aggiungano gli impegni extralavorativi, la famiglia (per una categoria composta per l’81,5% da donne), le relazioni sociali, e si capirà perché è semplicemente folle pensare di mandare in pensione gli insegnanti a quasi 70 anni. Ma in Italia siamo talmente assuefatti alle follie, da non notarle nemmeno più.

Dalle baby pensioni, ai nonni in cattedra fino alla soglia della morte

Siamo passati in un batter di ciglia da un assurdo a un altro assurdo specularmente opposto. Nel 1992 un docente poteva andare in pensione con 20 anni di servizio. L’Italia era piena di quarantacinquenni pensionati da anni. Capitava spesso a chi insegnava educazione fisica: se aveva iniziato a lavorare a 20 anni, a 40 poteva fare il pensionato. Una donna sposata con figli poteva pensionarsi dopo 14 anni e mezzo.

Con le “riforme” della pensione da Dini a Fornero, siamo all’assurdo di segno opposto, che manda in pensione insegnanti più vecchi di molti nonni dei loro alunni. Con la speranza inconfessabile che muoiano presto, per non pesare sull’INPS? Speranza ben riposta, perché è dimostrato che lo stress uccide, accorciando la vita. A 70 anni la salute non è quella dei 60: pertanto, se si lavora, invece di dedicarsi a ciò che resta del bello della vita, si perderanno le ultime opportunità di vivere pienamente almeno i propri ultimi anni.

Salvare l’INPS? Svendendone gli immobili?

Si raccontò agli italiani che l’INPS non poteva più reggere senza le draconiane riforme del Governo Monti, che ancora oggi scontiamo. Qualcuno però ci dovrebbe finalmente spiegare perché si è pervicacemente voluto impoverire l’INPS, cartolarizzandone i beni immobili (valore: almeno 2,5 miliardi): svendita tuttora in corso 30 anni dopo il suo avvio, e che il 13 aprile 2021 — quando Fratelli d’Italia non era ancora al Governo — persino il Secolo d’Italia denunciava come uno scandalo, titolando «INPS, la beffa del patrimonio immobiliare: conti in rosso ma l’ente affitta a 4 soldi e svende ai raccomandati». Nota bene: il patrimonio immobiliare era stato costruito coi contributi erogati dai lavoratori (gli unici che non evadono le tasse), retribuzione differita per la previdenza sociale. Lo Stato non aveva diritto di venderlo.

Allo stesso modo, non si capisce perché all’INPS siano state accollate anche funzioni assistenziali e mediche. Forse per poter dire che non ce la fa?

L’ultima beffa: la liquidazione posticipata di anni (e a rate)

Fu il governo Monti a decidere — sempre nel superiore interesse della Patria — l’estrema beffa del posticipo nel pagamento della liquidazione ai dipendenti pubblici. La Corte costituzionale oggi lo considera illegittimo ed anticostituzionale, ma la liquidazione ritarda sempre più (tre anni e mezzo in alcuni casi) e viene pagata a rate. Molti moriranno prima di vederla, e ad incassarla saranno gli eredi (non pochi dei quali — forse spera qualcuno nei Sacri Palazzi — non sono nemmeno a conoscenza di questo loro diritto).

Siamo o non siamo il Paese di Pulcinella? A pagarne le spese è sempre — guarda caso — la categoria meno sindacalizzata, meno cosciente di sé e più rassegnata.

Alvaro Belardinelli

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