Se da un anno all’altro la spesa per il corredo scolastico aumenta in media del 4% perché gli stipendi degli insegnanti aumentano della stessa percentuale ma se va bene ogni tre anni? Come fa un insegnante o un impiegato del personale Ata della scuola a fare fronte a un gap sempre più grande tra costo della vita e stipendio percepito, che inesorabilmente lo rende sempre più povero? Le domande sorgono spontanee nel giorno, l’ultimo di settembre, in cui il Codacons ha denunciato che “gli articoli di cancelleria rincarano in media del 3,3% su anno, quelli di cartoleria e materiale da disegno salgono del +2,5%, mentre i libri scolatici sfiorano un preoccupante 4% (+3,8%)”.
Sui bassi compensi dei dipendenti dello Stato si è soffermato anche il segretario generale della Cgil Maurizio Landini: il sindacalista ha detto, partecipando a Vicenza, all’assemblea dei delegati della provincia, che “nel pubblico impiego sono tre anni che sono scaduti i contratti, dalla sanità fino alla scuola, e di fronte ad un’inflazione, dichiarata dal Governo, dal 2022 al 2024 di quasi il 17%, le risorse messe a disposizione sono” in media “poco più del 5%”. Per l’Istruzione, aggiungiamo noi, anche meno.
Il leader sindacale ha quindi chiesto che nella prossima legge di bilancio il Governo vengano messe “risorse per aumentare i salari”, ribadendo che “uno dei temi più urgenti di questo periodo è” proprio quello “dell’aumento del salario”.
“C’è bisogno di rinnovare i contratti nazionali di lavoro“, ha incalzato Landini, perchè “i lavoratori e lavoratrici stanno pagando un prezzo pesantissimo“, considerando che in Italia sono aumentati i profitti e sono calati i salari” e “le due cose assieme non vanno bene”.
Quindi Landini ha dichiarato che “se noi firmassimo contratti con quelle caratteristiche di fatto accetteremmo di ridurre il potere d’acquisto dei salari”.
Il problema è che per fare partire la trattativa con i sindacati, per arrivare ad un accordo sul contratto collettivo nazionale del comparto Scuola, Università e Ricerca 2022/24, gli aumenti medi ad oggi disponibili risultano solo leggermente superiori a quelle degli ultimi rinnovi (2018 e 2023/24). E che purtroppo eventuali integrazioni di fondi pubblici per questo scopo, mancando poche settimane alla definizione della Legge di Bilancio 2025, appaiono a questo punto delle ipotesi davvero remote.
Gli incrementi salariali di docenti e personale Ata si fermeranno, quindi, a circa 160 euro medi complessivi. E la metà degli aumenti in arrivo, lo ricordiamo, sono in realtà già stati assegnati in busta paga dallo scorso mese di gennaio. Quella dell’indennità di vacanza contrattuale già in tasca al personale della scuola è l’unica buona notizia di una situazione difficile, gli aumenti stipendiali, che non riguarda solo l’Istruzione: tutto il pubblico impiego, infatti, rimane fermo alla stessa media (magra) di aumenti del comparto scolastico, dell’Università e della Ricerca (attorno al 4,5% lordo medio).
Vale anche la pena osservare che a penalizzare i lavoratori della scuola è il fatto che partono da una media stipendiale decisamente bassa, inferiore ai 30mila euro lordi annui: quindi, un piccolo incremento stipendiale applicato su una base salariale medio-bassa non potrà che rendere piccoli incrementi. In tal modo, quasi paradossalmente, non potrà anche che aumentare sempre più il gap rispetto agli altri comparti pubblici (ad esempio quello della Difesa o della Sanità) che già oggi godono di stipendi annui più corposi.
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